IV domenica di Pasqua - 12 maggio 2019
Vangelo (Gv 10,27-30)
In quel tempo Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Uno dei salmi più famosi e familiari è il salmo 23: “Il Signore è il mio pastore…”. Se Dio è stato così definito (pastore, appunto) è perché di Lui ti fidi, lo ascolti, lo segui.
Ma come so che di Lui posso fidarmi?
Nella seconda lettura, l’Apocalisse accosta all’immagine del pastore quella dell’Agnello: “l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita” (Ap 7,17a). Gesù è il pastore perché è l’Agnello: è diventato pastore e guida perché ha donato la vita.
Bellissima la conclusione della seconda lettura: Dio che asciuga ogni lacrima dagli occhi dell’umanità (Ap 7,17b). E questo lo può fare perché è l’Agnello sgozzato, e quindi sa cosa significa patire, soffrire, morire.
Il Signore è il mio pastore perché è l’Agnello.
Però, si può pensare: va bene che Dio conosca il patire dell’uomo, potendo così asciugare le sue lacrime. Ma un tale pastore, non sarà troppo debole, non verrà mangiato, sbranato da lupi?
Domanda non priva di fondamento. Già la crocifissione ne è testimonianza. E la cronaca degli Atti degli apostoli (prima lettura At 13,14.43-52) ci ricorda come sia possibile respingere la voce di Dio. Paolo e Barnaba sono osteggiati nel loro annuncio, rifiutati. Il credere al Vangelo, alla Parola di Dio ci può far passare attraverso una “grande tribolazione”, immergendo le nostre vesti nel “sangue dell’Agnello”.
Eppure, nonostante tutte le tribolazioni, continuiamo a dire: “Il Signore è il mio pastore”. Se ci si ritrova per celebrare l’Eucaristia è perché nonostante tutto la Parola di Dio è più forte del rifiuto dell’uomo.
Veramente il mondo, la storia è nelle mani di Dio: “Nessuno strapperà le pecore dalla mia mano, io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,27-30),
In alcune icone della Resurrezione, Gesù è rappresentato mentre scende agli inferi tendendo la mano ad Adamo ed Eva che si trovano nella bocca della morte. Così come in certe immagini, nel Giudizio finale, Cristo è rappresentato mentre sta scendendo e tende la mano all’uomo. Il Risorto è presente nella storia, sta venendo e tende la mano all’uomo. E la salvezza, sta nell’afferrare la mano di Cristo.
Nel tempo di Quaresima e Pasqua, abbiamo visto come le mani di Gesù parlano: scrivono nella polvere e non lanciano pietre né contro l’adultera, né contro altri; mani che prendono la croce dopo aver spezzato il pane; Tommaso capisce l’amore di Dio guardando le mani del Crocifisso risorto.
Quando ci scambiamo il segno della pace, stringendoci le mani dovremmo credere che “nessuno ci porterà via dalle mani di Dio”. E la vita eterna è un posto fra le mani di Dio.
Il desiderio di Dio è che ogni uomo si possa aggrappare alle sue mani per essere salvato.
Cresciamo nella fiducia che niente e nessuno ci strapperà dalle mani di Dio, così come il Figlio ha creduto che nulla l’avrebbe strappato dalle mani del Padre. La Risurrezione di Gesù è la conferma di una fede ben riposta: “Il Signore è il mio pastore...”.
don Sebastiano Carlo Vallati