XXIX domenica del tempo Ordinario – 22 ottobre
Mt 22,15-21
In quel tempo i farisei consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Il banchetto preparalo dal Dio che divora la morte (letture della liturgia di domenica scorsa), un banchetto in cui il mangiare è anche una liberazione dalla morte, è simbolo di una realtà altra da quella terrena, una realtà in cui Dio regna, non l'uomo.
Di questa realtà è figura e preannuncio l'Eucaristia.
Oggi viviamo in una società marcatamente secolarizzata, dove il riferimento a Dio sembra svanire (almeno in Europa).
Al massimo si restituisce a Cesare quello che è di Cesare, ma a Dio non si restituisce nulla perché sembra svanito dall'orizzonte del vivere personale e sociale. Come diceva il teologo D. Bonhoeffer, nell'epoca moderna l'uomo e la donna dell'Europa sono diventati maggiorenni, hanno preso le distanze da Dio.
Anche se alla fine, forse, anche a Cesare si rende con fatica ciò che è suo: quando va bene si rispettano le leggi, si pagano le tasse… ma vista l'attuale crisi della politica a livello mondiale, si fatica a credere in tutto quello che Cesare rappresenta (per semplificare diciamo: lo Stato).
Teniamo anche conto che oggi in Occidente è avviata, ormai da tempo, la laicità della città, cioè la separazione tra la religione e la società: il credere è visto come un fatto privato che deve scomparire dallo spazio pubblico.
Questi sono temi difficili, ma l’accenno è necessario anche per dire che non si può ridurre la risposta data da Gesù ai farisei ad un semplice: “Pregate e pagate le tasse”.
Non credo che il "rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" del vangelo sia un invito alla separazione dei due aspetti se no si corre il rischio di divinizzare Cesare o di politicizzare Dio.
Cesare non è solo lo Stato, il potere. Cesare è la nostra società nella quale viviamo e a questa società siamo chiamati a restare attenti. Papa Paolo VI vedeva nel servizio politico una delle forme più alte della carità cristiana.
Quindi il detto di Gesù può essere letto come un suggerimento offerto ai cristiani per stare nella società in un determinato modo. Non si tratta di essere contro la società, di essere in contrapposizione con il mondo, ma essere una comunità cristiana che nel vivere sociale ha da dire una differenza, un modo di pensare e di vivere diverso perché restituisce a Dio ciò che è di Dio.
Nella misura in cui la Chiesa vive il vangelo, la sua presenza nella società saprà essere profetica, sale e luce del mondo.
Quindi nelle nostre città europee, dove spesso Cesare si sforza di agire come se Dio non esistesse, la differenza cristiana diventa la continua ricerca del senso del vivere, l'attenzione ai poveri e a chi fatica.
Quando il cristiano ha costruito case e piantato alberi, quando ha lottato per un mondo più giusto, quando ha fatto fino in fondo il suo compito, torna davanti al Signore crocifisso e risorto sapendo che lì trova il senso del vivere e del morire, l'opera delle sue mani e le scelte della sua coscienza.
È davanti al crocifisso, che trova il rispetto per l'autorità civile e anche la sapienza che ti permette di essere critico, prendere le distanze, quando non si dà a Dio ciò che è di Dio, che poi coincide con il dare all'uomo ciò che è dell'uomo.
° Gesù che prende in mano la moneta, dice che se è così facile riconoscere l'immagine e l'iscrizione di una moneta, non è altrettanto facile riconoscere il rapporto che c'è tra ogni uomo e quell'immagine di Dio su cui siamo stati creati.
° Noi spesso siamo una moneta incrostata, e non sempre nella nostra vita è leggibile che siamo creati ad immagine di Dio e che nella nostra vita è scritto il suo nome.
° Forse la conversione – in modo simbolico - possiamo leggerla anche così: come un processo di ripulitura perché in quella moneta, che è la nostra vita, risplenda sempre di più l'immagine di Dio impressa dentro di noi.
D. Sebastiano Carlo Vallati