II domenica del tempo ordinario - 20 gennaio 2019
Dal vangelo di Giovanni (2,1-12)
Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.
Dopo il battesimo al Giordano, a Cana di Galilea Gesù manifesta nuovamente la propria identità. Una manifestazione “nuziale” che imprime in modo indelebile fin dal principio tutti i segni che egli compirà per portare alla fede gli uomini e le donne.
Li prenderà per amore, capiscano o non capiscano.
Nella Bibbia vengono impiegati vari simboli per descrivere l’amore di Dio per il suo popolo. Egli è liberatore, alleato, re, pastore… Il profeta Osea introduce un’altra immagine, quella coniugale: il Signore è lo sposo, Israele la sua sposa.
Nella prima lettura di oggi, la sposa del Signore è Gerusalemme, città ridotta in una condizione pietosa: ripudiata dal suo sposo, umiliata, vive in solitudine e, con scherno, la chiamano l’abbandonata, la devastata (v.4).
Gerusalemme, la ragazza stupenda, ha perso il suo fascino e “piange amaramente nella notte; le sue lacrime scendono sulle guance e nessuno le reca conforto fra tutti i suoi amanti” (Lam 1,2).
Così l’hanno ridotta le sue infedeltà. I numerosi amanti (gli dèi dei Cananei, degli Assiri e dei Babilonesi) l’hanno sedotta e poi abbandonata e derisa.
È definitivamente compromesso il suo matrimonio con il Signore?
Al ritorno dall’esilio di Babilonia, gli israeliti trovano Gerusalemme ridotta ad un cumulo di rovine e pensano che Dio abbia ripudiato per sempre la sua città.
Il profeta che conosce i sentimenti del Signore, sa che il suo amore non è “come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce” (Os 6,4), non è condizionato dalla fedeltà della sposa. Egli ama sempre e comunque.
Al popolo scoraggiato promette: Gerusalemme riceverà un nome nuovo, sarà chiamata mia favorita, “il Mio Compiacimento (è) in Lei”. Sarà preziosa agli occhi di Qualcuno. La sua terra sarà chiamata “Sposata”, unita al suo Sposo/Signore. Gerusalemme, sarà “Appartenente” a uno sposo che la ama, non una donna di “Nessuno”, “di tutti” (Is 62,1-5).
L’immagine nunziale è ben presente nel vangelo di questa domenica.
Se con il Battesimo, Gesù inizia il suo ministero pubblico mettendosi in fila con i peccatori, in questo brano ci viene detto che Gesù accoglie un invito a nozze.
Miracolo che da sempre ha suscitato domande: Giovanni nel suo Vangelo narra soltanto sette miracoli, perché dà tanta importanza a questo episodio? Sottolinea che è stato il primo dei segni compiuti da Gesù, segno di fronte al quale i discepoli hanno creduto, hanno dato la loro adesione al Maestro. L’evangelista impiega un’espressione solenne: “Gesù manifestò la sua gloria”. Per così poco? Tante annotazioni dell’evangelista sarebbero state forse più logiche, più comprensibili, per esempio, dopo la guarigione del cieco nato o dopo la “risurrezione” di Lazzaro.
Con tutte le situazioni tragiche di povertà, con i problemi sociali che c’erano già allora, Gesù incomincia andando ad una festa.
Ancora una volta Gesù manifesta la sua capacità di condividere tutti i vissuti umani (il pianto e la gioia) e rende manifesto che Egli è venuto perché l’uomo abbia la vita in abbondanza.
Il riferimento alle nozze e al vino che viene a mancare, può dire il quadro della condizione umana: la nostra vita è una promessa, una festa, come un matrimonio, ma... può venire a mancare il vino.
“Non hanno più vino”: ogni festa dell’uomo può essere minacciata da quest’inconveniente, cioè l’esaurirsi della gioia. Quando nella vita hai esaudito tutti i tuoi bisogni, devi incontrare chi ti offre un senso perché ti rendi conto che “non di solo pane vive l’uomo”. La vita è una promessa, ma può venire a mancare qualcosa di fondamentale.
Nel rapporto d’amore, l’innamoramento viene messo alla prova nella quotidianità della vita, e può venire a mancare la gioia.
Davanti ad una tale situazione, si può andare avanti ad acqua. A Cana non si sogna più il vino. Una sazietà annoiata o la mediocrità ti possono portare a credere che la vita non incontrerà più la festa.
Grave, è il non accorgersi che al banchetto è seduto Colui che può aiutarti e per di più è stato invitato alle nozze.
Anche noi abbiamo invitato Gesù nella nostra vita (con il Battesimo, i Sacramenti…). Ma poi, quando il vino viene a mancare, ci si rivolge ad altri.
Come arriva il vino?
Anzitutto, riconoscendo la mancanza. O quel vino ce lo porta Qualcuno, oppure non arriva. Riconoscere di essere poveri è il segreto della vita.
Poi, va bene riconoscersi poveri ma è importante chiedere nella direzione giusta. E la Madre sa in quale direzione andare.
Il miracolo di Gesù, inoltre, è festoso ma anche molto elegante. Infatti, pochi se ne accorgono, anche se molti ne hanno goduto i benefici. Il maestro di tavola si congratula con lo sposo, che però non ha fatto nulla. Questa discrezione è lo stile di Dio.
E quel vino buono è per tutti.
Il miracolo di Cana è un segno che la gioia che noi intravvediamo all’inizio, Cristo la rende presente fino alla fine. Il vino offerto da Dio è buono dall’inizio alla fine, fino all’Ultima Cena, dove grazie allo Sposo la bontà del vino si mischia alla bellezza di un dono che non viene meno, nonostante l’infedeltà dei suoi amici.
Lo stile di Dio: dono traboccante, fino all’orlo, per sempre, perché la festa non conosca tramonto.
D. Sebastiano Carlo Vallati