VIII domenica del tempo ordinario anno C
Dal vangelo secondo Lc (6,39-45)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
“La bocca parla della pienezza del cuore”, e dalla qualità di ciò che esce dalla bocca riusciamo spesso a riconoscere ciò che nel cuore si nasconde. Perché ciò che è nel cuore, soprattutto si nasconde.
Il nostro cuore, sovente, è nascosto a noi stessi. Mentre agli occhi altrui, il cuore di ciascuno appare in qualche modo manifesto. Perché il cuore, appunto, gli esce dalla bocca, dalle sue parole.
Su quest’inganno – cioè di conoscere meglio il cuore degli altri più che il nostro - ci invitano a riflettere tutte le sentenze del vangelo odierno, e nei confronti di questo inganno ci esortano a portare rimedio.
Nella prima lettura (Sir 27,4-7), si legge: “Quando si agita un vaglio, restano i rifiuti;
così quando un uomo riflette, gli appaiono i suoi difetti”.
Di per sé, la traduzione corretta è: “Quando l’uomo discute, rimangono i suoi difetti”: rimangono nel senso che i difetti vengono in superficie, appaiono evidenti; non tanto a lui stesso, ma di più a tutti coloro che ascoltano.
Subito dopo viene detto che è imprudente lodare un uomo prima di averlo sentito parlare, soprattutto in un parlare famigliare.
Da questi pensieri sapienziali possiamo accogliere l’invito a non cadere nella facile inclinazione del cuore a cercare nel difetto altrui un sollievo per gli sconosciuti difetti propri.
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?”.
Un’obiezione può sorgere: come può Gesù supporre che solo una pagliuzza sia quella che offusca l’occhio dell’altro, ed invece che sia sempre trave quella che è nell’occhio nostro?
Gesù intente portare la nostra attenzione sul come la nostra coscienza personale può vedere, guardare, giudicare in modo distorto l’altro.
Il giudizio dell’altro è giudicato da Gesù come impresa delicatissima: per accingerti ad essa occorre per prima cosa esaminare l’albero su cui matura un tale frutto.
Se il sentimento che ti anima nasce dall’invidia, dispetto, impazienza e sentimenti ostili, non puoi fidarti della chiarezza di ciò che vedono i tuoi occhi. Certamente tu sbaglieresti nella correzione.
Rendi buono l’albero, togli prima la trave, correggi i tuoi sentimenti; soltanto allora potrai vederci abbastanza bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
D. Sebastiano Carlo Vallati