Le nostre novelle
V domenica di Pasqua - 19 maggio 2019
Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.

V domenica di Pasqua - 19 maggio 2019

Vangelo (Gv 13,31-33a.34-35)
Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.

Per noi, la gloria sta nel raggiungere un posto di riguardo per avere l’approvazione e le lodi degli uomini. Nel profondo del nostro cuore, forse tutti la cerchiamo.
I giudei che “prendono la gloria gli uni dagli altri e non cercano la gloria che viene da Dio” (Gv 5,44), che “amano la gloria degli uomini più della gloria di Dio” (Gv 12,43) non possono credere in Gesù nel quale non si manifesta la “gloria” che attira gli sguardi e l’attenzione degli uomini. Com’è possibile che la gloria di Dio si manifesta “nella carne di Colui che ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14)?
Nei primi versetti del vangelo di oggi (vv.31-32) compare per ben cinque volte il verbo glorificare. Non è eccessivo? Soprattutto, sembra fuori luogo nel contesto in cui queste parole vengono pronunciate: siamo nel cenacolo e mancano poche ore alla cattura e condanna a morte di Gesù.
Come può Gesù parlare di ‘glorificazione’ difronte alla tragica perdita di un discepolo? Non bisognerebbe forse parlare di sconfitta e di fallimento? È infatti uno dei Dodici che se ne va.
Giovanni ci fa notare che “Gesù fu profondamente turbato” (13, 21), rimane sconvolto. Ogni volta che un’amicizia viene tradita, ogni volta che una comunione viene infranta, ogni volta che una relazione viene ferita mortalmente, si sta davvero male.
Eppure Gesù, anche in questa situazione di tristezza e sofferenza, continua a mostare la sua amicizia a coloro che lo tradiscono.
La gloria di Gesù è la luce del suo amore che attraversa anche la notte del tradimento. E il Padre è glorificato in Gesù perché in Gesù, nei suoi gesti, nei suoi atteggiamenti, si manifesta il suo volto di Padre.
Se la glorificazione massima di Gesù giunge al momento della sua morte, c’è un altro luogo in cui può risplendere la luce della gloria di Dio: una comunità di discepoli in cui regna l’amore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (13,35). Dove alcune persone accolgono l’amore di Dio, lì si manifesta la gloria di Dio.
Non ci sono altri segni o criteri per riconoscere una comunità che ‘appartiene’ a Dio se non il vedere all’opera l’amore stesso con cui Gesù ha amato.
Quel “come io ho amato voi” racchiude un modo nuovo di pensare e di agire, di guardare la propria vita e quella degli altri. L’amore, quando ‘prende corpo’ in una persona, in una comunità, ha la forza di muovere la storia e contribuire a “fare nuove tutte le cose” (Ap 21,5), come si legge nella seconda lettura.
La novità del comandamento dell’amore, che Gesù lascia in eredità ai suoi discepoli come testamento, bene a lui più caro e prezioso, sta proprio in quel “come io”.
Il comandamento è nuovo perché nuova è la misura dell’amore, perché nuovo è colui che comanda un tale amore. Vivere e amare “come io”: in questo sta l’essenza e l’originalità dell’esistenza cristiana.
Ma non si tratta semplicemente di ‘imitazione’ (come si può imitare Gesù).
Quel ‘come’ vuol dire anche ‘perché’: “Amatevi.. come e perché io ho amato voi”. Poiché Gesù ci ha amati per primo, anche noi a nostra volta, possiamo amarci gli uni gli altri.

don Sebastiano Carlo Vallati

 

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