Domenica di Pentecoste - 10 giugno 2019
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Gv 14,15-16.23-26
Quelli che si amano, in genere dicono: “C’è qualcosa tra di noi”.
Un’espressione che dice come nell’aritmetica delle relazioni, uno più uno fa almeno tre. C’è qualcosa che dà sostanza ai legami, una presenza che rende le relazioni non la semplice somma di due ma un di più della sola unità delle parti.
Umanamente, la densità del legame è impensabile senza la mediazione dei corpi.
E questo vale anche per la fede.
Come scrive il teologo Giuliano Zanchi “solo se è passato il corpo del Figlio, lo Spirito può tenere il suo posto”. Detto in altro modo: non si dà Pentecoste se non dopo l’Ascensione. Lo Spirito Santo ha il potere di colmare il vuoto di un’assenza.
Dove i corpi sembrano distanti, lo Spirito si fa presente e continua ad animarli a dispetto della loro distanza. Dice san Paolo: “Lo Spirito di Dio mandato mediante il corpo del Figlio avrà la forza di rianimare i nostri corpi mortali”.
In Giovanni, Gesù prefigura lo Spirito come agente di una nuova definitiva intimità, confidenza (“Se uno mi ama osserverà la sua parola”).
Si sa che per chi ama, obbedire è una gioia.
Obbedienza, che in casa cristiana, non è tanto il frutto della volontà dell’uomo, della sola osservanza della Legge, ma anzitutto il frutto del lavoro del Dio Trinità che viene a dimorare in noi. Tra l’uomo e Dio non c’è più solamente un patto stipulato tra due soggetti, non c’è neppure semplicemente una Legge da osservare. Ora c’è una reciproca appartenenza nella comunione, addirittura un dimorare l’uno nell’altro. E a sigillare questo patto ora è lo Spirito stesso che rimane con noi “per sempre”.
Questa è la promessa di Gesù.
Un “per sempre” che non va ad indicare solo una durata temporale.
La sicurezza per la nostra vita è che lo Spirito rimarrà con noi anche nei tempi e nei luoghi del nostro peccato e della nostra lontananza da Dio, purché custodiamo la parola di Gesù. Non innanzitutto nel senso che le obbediamo fedelmente e senza pecche (chi di noi ne sarebbe capace?), ma nel senso che diamo credito alla sua promessa, affidandoci alla sua potenza di perdono e di misericordia.
Del resto lo spirito che abbiamo ricevuto, ci ricorda ancora san Paolo, non è uno spirito da schiavi, tale da imprigionarci nella paura, ma uno Spirito da figli, che c’insegna a fidarci pienamente a colui che possiamo invocare con verità e fiducia come il nostro Abbà, il nostro Padre.
don Sebastiano Carlo Vallati