XVI domenica del tempo ordinario (Lc 10,38-42)
Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”.
Domenica 21 luglio si celebrano i cinquant’anni dello sbarco degli astronauti sulla Luna.
Due giorni dopo, Papa Paolo VI disse che l’impresa lunare era un segno del progresso dell’uomo moderno con il quale la Chiesa era chiamata a confrontarsi senza paura: “La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero scientifico moderno, ma lo desidera perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede e alla ricerca e allo studio d’ogni campo conoscibile”. E concludeva: “Non temiamo che la nostra fede non sappia comprendere le esplorazioni e le conquiste, che l’uomo va facendo del creato, e che noi, seguaci di Cristo, siamo esclusi dalla contemplazione della terra e del cielo, e dalla gioia della loro progressiva e meravigliosa scoperta. Se saremo con Cristo saremo nella via, saremo nella verità, saremo nella vita”.
Ma nonostante quella “conquista”, tappa epocale per il progresso dell’umanità, la luna continua ad essere simbolo di un mistero che invita al silenzio e alle domande.
Così era per il pastore errante di Leopardi che nel Canto notturno domandava: “Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, silenziosa luna?”. La solitaria, eterna viaggiatrice luna, così pensosa, pur se non mortale, per il pastore leopardiano è capace di capire la fatica dell’uomo, le sue domande, la noia che lo assale quando riposa.
Anche per Ciàula, personaggio di una novella di Pirandello, la scoperta della luna sarà un invito a fare silenzio. Ciàula è sfruttato e maltrattato dal padrone e dai colleghi di lavoro della miniera. Un giorno, uscendo dal lavoro quando ormai è notte, lui pauroso del buio, si ritroverà come un bambino davanti allo spettacolo della luna candida nel cielo: “Appena sbucato all'aperto – sbalordito, il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Sì, egli sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola là, la Luna... E Ciàula si mise a piangere… dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”.
Non vorrei offrire pensieri e letture irriverenti ma questi due aspetti – cioè, lo sbarco sulla luna e il suo secolare mistero che invita al silenzio – mi sembrano dire le due dimensioni che abitano l’uomo e che il vangelo di questa domenica tratteggia: il fare di Marta e l’ascolto silenzioso di Maria.
Aspetti che spesso poniamo in contrapposizione, ma che di per sé possono stare insieme.
Nella prima lettura (Gen 18,1-10a) Abramo offre ospitalità a tre uomini servendoli, e facendosi aiutare nel servire, ma mentre quelli mangiano, egli rimane in piedi, al loro fianco, sotto l’albero; si mantiene vigile e premuroso, pronto a rispondere ad ogni loro bisogno, ad intuire ogni loro desiderio. Piacque a Dio l’ospitalità di Abramo e, per mostrare quanto l’aveva apprezzata, gli diede un figlio. È il segno che qualunque forma di accoglienza offerta a chi è nel bisogno è sommamente gradita a Dio. Ospitalità è sinonimo di sollecitudine, disponibilità, benevolenza, cortesia nei confronti di chi, forse più che in una casa, chiede di essere accolto nei pensieri, nelle attenzioni, nella stima, nell’ascolto.
Sotto le sembianze del povero è Dio che chiede accoglienza (Mt 25,31-46) come un giorno è accaduto con Abramo, alle Querce di Mamre.
Contrapposizione, tra il servire e l’ascoltare, che sarebbe anche in contrasto con la l’insegnamento del Vangelo di domenica scorsa dove Gesù elogiava il samaritano che si era dato da fare.
Marta non viene rimproverata perché lavora, ma perché si agita, è ansiosa, è preoccupata, si affanna per tante cose e, soprattutto, perché si impegna nel lavoro senza aver prima ascoltato la Parola.
Maria viene elogiata, è vero, ma non perché è una fannullona, perché finge di non accorgersi del lavoro in cucina. Gesù non dice che Marta ha torto quando la richiama agli impegni concreti; non suggerisce a Maria che la sorella se la sbrighi da sola. Dice solo che la cosa più importante, quella cui bisogna dare la priorità – se non si vuole che la nostra attività si riduca ad agitazione – è l’ascolto della Parola.
Marta e Maria: Il racconto di Luca è una lezione per i cristiani di ieri e di oggi, alle comunità cristiane, dove non manca la generosità di molti, di chi non risparmia tempo, energie e soldi. Eppure, anche in questa intensa e generosa attività c’è il pericolo che tanto lavoro febbrile venga disgiunto dall’ascolto della Parola, che divenga affanno, confusione, nervosismo, proprio come quello di Marta. Anche l’impegno apostolico, le scelte comunitarie, i progetti pastorali, se non sono guidati dalla Parola si riducono a rumore vano, uno scomposto agitarsi. Maria ha scelto la parte buona perché ha ascoltato la Parola. Anche l’altra Maria, la mamma di Gesù, viene elogiata perché è stata attenta alla Parola (Lc 1,38.45; 2,19; 8,21).
La luna, Abramo, Marta e Maria: la luna invita ad alzare lo sguardo, al silenzio davanti al mistero di ciò che è più grande di noi e che può suscitare domande.
Ma il racconto di Abramo e del vangelo di Luca dicono come il Dio biblico visita la storia degli uomini bussando alla porta della loro quotidianità. Noi lo cerchiamo spesso nei misteri, nei cieli, nei prodigi della natura, nelle forze cosmiche, e poi un giorno ce lo troviamo per casa fra le pentole della nostra esistenza più feriale.
Certo è che sembra più facile andare sulla luna che l’essere accogliente nei confronti dell’altro la cui presenza arriva sempre come una ‘visitazione’: il suo volto, oltre che muovere generosità, apre sentieri nuovi alla mia vita e porta sempre in dote una “promessa”.
Accogliere l’altro è sempre un azzardo. Ma spesso ci si imbatte nell’inattesa presenza di Dio.
Il sorrisetto di Sara (Gen 18, 9-15) sa di sospetto, circospezione, incredulità, un vedere nell’altro se non una minaccia, comunque un inconveniente, una fregatura.
L’agitarsi di Marta è emblema di come anche il discepolo possa rimanere immerso nelle sue ansie operative.
Il maestro siede comunque a tavola con tutti (Marta e Maria, peccatori e giusti).
Ma ricordando con dolcezza, tra un piatto e l’altro, cosa conta di più.
don Sebastiano Carlo Vallati