In un commento rabbinico del capitolo 34 del Deuteronomio, dove si descrive la morte di Mosè, si legge: “Si udì una voce dal cielo che disse a Mosè: Mosè, è la fine, il tempo della tua morte è venuto. Mosè disse a Dio: Ti supplico, non mi abbandonare nelle mani dell'angelo della morte. Ma Dio scese dall'alto dei cieli per prendere l'anima di Mosè e gli disse: Mosè, chiudi gli occhi e Mosè li chiuse; poi disse: Posa le mani sul petto e Mosè così fece; poi disse: Adesso accosta i piedi e Mosè li accostò. Allora Dio chiamò l'anima di Mosè dicendole: Figlia mia, ho fissato un tempo di 120 anni durante i quali tu abitassi nel corpo di Mosè. Ora è giunta la tua fine; parti; non tardare. E l'anima: Re del mondo, io amo il corpo puro e santo di Mosè e non voglio lasciarlo. Allora Dio baciò Mosè e prese la sua anima con un bacio della sua bocca, poi Dio pianse per la morte di Mosè.
La Pentecoste è anche questo: Dio pone il suo spirito di vita eterna nell’anima di colui che muore. Al respiro mortale dell'uomo si sostituisce lo Spirito divino della vita: “Se togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella polvere; mandi il tuo Spirito e sono creati” (Sl.104).
Lo Spirito di Dio da vita (nel commento rabbinico detto in modo poetico attraverso un bacio, un gesto delicato).
Il libro degli Atti presenta la venuta dello Spirito Santo in modo vistoso: “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tuta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco ed essi furono pieni di Spirito Santo”.
Ma il più delle volte lo Spirito lavora in modo silenzioso nel cuore degli uomini.
All’origine della vita (v. Genesi) c’è un soffio.
E noi conosciamo la fragilità di tutto ciò che è appeso ad un soffio.
Il soffio sarà fragile, ma senza di quello non c’è vita.
Il soffio divino che è dentro di noi non si vede al microscopio. Ma dai comportamenti umani, dai suoi desideri e anche dalla sua insoddisfazione, dalla sua ricerca si deduce che noi siamo creati per cose grandi.
Quindi nell’uomo c’è la fragilità del soffio, ma anche l’aspirazione a cose grandi e questa ispirazione è dovuta al soffio divino che ci abita.
Proprio perché siamo fragili possiamo cadere nella paura dalla quale lo Spirito ci fa uscire perché la fede in Lui scaccia ogni paura.
Il vangelo presenta i discepoli pieni di paura, tanto da non uscire dalle loro case.
Gesù Risorto viene e presentandosi come prima cosa offre la pace, mostrando i segni della sua Passione e Crocifissione.
La prima paura dalla quale Cristo ci libera è la paura di Dio. I segni della crocifissione sono la sicurezza che di Dio ti puoi fidare, di Lui non devi avere paura.
Oggi anche noi possiamo essere toccati dalla paura di dirci cristiani, discepoli di Cristo; possiamo anche essere scoraggiati, senza speranza e voglia di lottare.
La paura paralizza, rende schiavi, mentre lo Spirito Santo rende liberi.
E in questo contesto di pace e di libertà è interessante lo stretto legame che il Vangelo stabilisce tra il dono dello Spirito e la remissione di peccati.
Nel Padre Nostro il Signore ci fa chiedere: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Certamente il dinamismo umano del perdono è lungo e faticoso. Lo Spirito Santo non ci cambia da un giorno all’altro e poi ci sono sempre le resistenze interiori.
Però quando incontri uomini e donne capaci di perdono (anche nei confronti di se stesse e del proprio passato) quelle sono esistenze che hanno permesso allo Spirito Santo di lavorare in loro. Perdonare equivale a dare la vita a se stessi e agli altri.
Dove c’è lo Spirito di Dio c’è la vita e dove c’è perdono c’è la vita e la pace.
La poetessa Margherita Guidacci scriveva: “Il vento soffia dolcemente nel flauto delle mie ossa”. Che il soffio, la vita di Dio entri in noi, nelle nostre ossa, nel nostro cuore attraverso lo Spirito Santo.
D. Sebastiano Carlo Vallati