XVIII domenica del tempo ordinario
Vangelo (Lc 12,13-21)
Uno della folla disse a Gesù: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. E disse loro: “Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”. Disse poi una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio”.
Due fratelli non riescono a mettersi d’accordo sull’eredità.
Ciò che dovrebbe essere divisa, l’eredità, diventa ciò che divide.
Il denaro è un idolo affascinante perché è muto, non protesta. Ed inganna perché espelle dalla mente il pensiero della morte. Sovente l’uomo pensa di mettere in salvo la fragilità della vita accumulando beni.
Infatti, proprio in presenza della morte (la divisione di un’eredità), la cupidigia fa rimuovere il pensiero della morte.
Pensiero alla morte che il saggio Qoèlet non nasconde, lui che vive in un tempo di benessere, dove si incontrano commercianti in oro, perle preziose.
Davanti a tutto quel benessere, Qoèlet si domanda se non è tutto un “rincorrere il vento”.
Del resto fin dall’inizio del suo libro, Qoèlet dice che “Tutto è vanità”.
100 anni prima che Qoèlet scriva, Dario, il re di Persia, onnipotente e immensamente ricco, è stato umiliato da Alessandro. Costui a sua volta, a soli trentatrè anni, è morto a Babilonia e il corteo funebre che lo ha accompagnato in Occidente ha rifatto in senso inverso la strada che l’invincibile conquistatore aveva percorso trionfalmente solo pochi anni prima.
Che è rimasto di Alessandro e del suo regno?
Ai tempi di Gesù, alla morte di una persona proprietaria di terra e casa, la Legge stabiliva che l’eredità spettava al figlio maschio primogenito per evitare che il patrimonio venisse spezzettato, diviso in tante parti. Agli altri figli veniva riservata comunque una parte dei beni immobili.
Era possibile che i fratelli condividessero l’eredità; ma non sempre accadeva.
Nel vangelo è probabilmente il figlio minore che chiede a Gesù, riconosciuto come maestro e interprete autorevole della Legge, di intervenire perché sia onorato il suo diritto, probabilmente non riconosciuto dal fratello maggiore.
La risposta di Gesù a quella richiesta ha un tono spazientito, forse perché ha letto in quella pretesa non una sete di giustizia ma una brama di possesso. Come fa a regolare questioni di eredità proprio quel Maestro che chiede di dare anche la tunica a chi ci toglie il mantello, che raccomanda di condividere i beni con i poveri?
Di fronte a quel caso, Gesù non risolve il contrasto familiare ma sceglie di andare alla radice del problema: “Attenti, tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”.
I cosiddetti beni saturano bisogni fingendo di colmare desideri.
Se accumulati solo per sé, alimentano solitudini.
E “sorella morte” traccia il limite del desiderio umano.
Lasciamo, allora, che le cose siano traccia di altro, non la sua vuota e sterile sostituzione. ‘Altro’ che Paolo definisce con “cercare le cose di lassù”.
Solo una cosa infatti è forte come (anzi di più) della morte. Ed è l’amore.
don Sebastiano Carlo Vallati