XXII domenica del Tempo ordinario
Dal vangelo secondo Luca (14, 1. 7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Nel romanzo Delitto e castigo dello scrittore russo Fëdor Dostoevski, Marmeladov (un ubriacone, papà di Sonja - costretta a prostituirsi per portare a casa i soldi che servivano alla sua famiglia per vivere – che ha aiutato Raskolnikov – il personaggio principale del romanzo - a confessare il suo “delitto”, lo ha generato alla fede e sposa fedele che lo seguirà nell’espiazione del delitto, “il castigo”), pronuncia un bellissimo discorso rivolto all’unico Giudice, che ha compreso tutto e ha avuto pietà di noi: “Il Signore giudicherà tutti, e perdonerà i buoni e i cattivi, i sapienti e i mansueti, perdonerà la mia Sonja… e quando già avrà finito con tutti, allora dirà anche a noi: ‘Venite avanti, anche voi, ubriaconi, venite avanti tutti senza vergognarvi’, e noi ci faremo avanti tutti senza vergognarci. E i sapienti e i saggi diranno: ‘Signore, perché accogli costoro?’, e dirà: ‘Per questo li accolgo: perché non uno di costoro si è mai stimato degno di ciò, e ci tenderà le mani sue e noi ci prostreremo e piangeremo e capiremo tutto! Allora tutto capiremo, e tutti capiranno: Signore venga il tuo regno”.
Il brano evangelico che la liturgia ci presenta oggi, mi ha fatto venire alla mente questo passaggio del famoso romanzo di Dostoevski.
L’invito di Gesù ad invitare poveri, storpi, zoppi, ciechi alla propria mensa è anche immagine degli inviti che Gesù ha rivolto perché tutti, compresi i peccatori, potessero partecipare al banchetto del Regno, sia ai banchetti della terra che a quello del cielo.
Ed è bella la motivazione che Dostoevski mette in bocca a Gesù Giudice: “Li accolgo perché nessuno di costoro si è mai stimato degno di ciò”, cioè, di poter entrare al banchetto finale.
Il vangelo di questa domenica parla del giorno di sabato e di Gesù che si trova a pranzo da un fariseo: un giorno di festa, profezia del giorno in cui Dio sarà il padrone generoso e ricco che ha preparato “un banchetto di vini raffinati, di cibi succulenti”. Gesù pronuncia quel discorso a casa di un fariseo che si riteneva degnissimo di partecipare a tale banchetto finale.
Il vangelo di oggi, quindi, può essere anche immagine del banchetto finale.
Ma è soprattutto un invito al comportamento da tenere nei nostri banchetti.
Quella che offre Gesù, non è una semplice regola del galateo.
Per un discepolo di Gesù scegliere l’ultimo posto non è un rito di gentilezza per arrivare al primo, da sempre desiderato ardentemente ma nascosto sotto una falsa umiltà.
Scegliere l’ultimo posto significa semplicemente adattarsi alle abitudini di Dio.
Il beato Charles de Foucauld diceva che “noi possiamo prendere ormai solo il penultimo posto perché l’ultimo è già occupato dal Signore, il modo tale che nessuno potrà mai rapirglielo”.
Gesù è la manifestazione dello stile di Dio: ha scelto gli ultimi posti; ha invitato poveri, storpi, zoppi e ciechi. Ha scelto Israele, un piccolo popolo tra i regni della terra.
Gesù invita da uscire dalla logica tra dare e avere.
Nel Vangelo il verbo “amare” si traduce sempre con il verbo “dare”: “E sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
La felicità ha che fare con il dono, e non può mai essere solitaria.
Doni un po’ di felicità a qualcuno e subito la riattingi, moltiplicata. E sarai beato perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere, come forse tutti abbiamo sperimentato.
E sarai beato perché agisci come agisce Dio (Mt 5, 43-48).
I discepoli di Gesù sono chiamati ad occupare come Lui gli ultimi posti e a sentirsi oggetto dell’amore di Dio non in quanto amici, fratelli, parenti, ricchi, ma in quanto, loro per primi, poveri, storpi, zoppi e ciechi che non hanno nulla da dare in cambio di un tale invito, ma tutto da ricevere come dono: un dono gratuito non dovuto e non meritato.
In fondo, la vera porta stretta da cui dobbiamo passare è proprio questa: convertirci alla logica di Dio per imparare a guardare il mondo e l’umanità come la guarda Lui.
don Sebastiano Carlo Vallati