Le nostre novelle
XXXIV domenica del tempo ordinario - 24 novembre 2019
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - 17 novembre 2019

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
RE DELL'UNIVERSO

Dal Vangelo secondo Luca (23, 35-43)
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Oggi si conclude l’Anno Liturgico con la festa di Cristo Re.
Una volta mi sembrava eccessiva quest’espressione.
Però, è anche vero che Gesù stesso quando si presenta sulla scena dice che con la sua presenza “il regno di Dio si è fatto vicino”. A Pilato che gli chiede se Lui è re, Gesù risponde: “Tu lo dici, io sono re”. E nel Padre Nostro diciamo: “Venga il tuo regno”.
Ma dov'è il suo regno, dov'è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani? Tutto sembra proseguire come se Lui non fosse venuto.
A Gesù agonizzante, viene rinfacciata – in modo beffardo - una immagine mondana della regalità. Un guanto di sfida sbattuto in faccia ad un uomo che non ha più le forze per difendersi.
La regalità per l’uomo è un occupare i vertici delle gerarchie, dopo lotte per un riscatto da ottenere in agonismo con gli altri, sia nelle tristi geografie umane delle scalate politiche, come nei molti piccoli pollai di ogni normale ambiente di vita dove non c’è posto per più di un gallo.
Ecco, sulla base di questo tipo di regalità, antagonistica, concorrenziale, dispotica, spietata, il Figlio di Dio viene messo sulla graticola dell’irrisione, girato fra le mani dell’ironia come un pupazzo di stoffa, irriso da gente che diventa un branco di leoni solo davanti alla debolezza di una preda già quasi dissanguata. “Con la ferocia dei bambini, che anche solo per gioco se la prendono col più debole o con la coda di una lucertola, un sacco di gente – scrive il teologo Giuliano Zanchi - rinfaccia a Gesù di non possedere quella regalità con cui, secondo loro, ha preteso di mostrarsi. A loro modo, involontario e grottesco, dicono il vero. Gesù non è quel tipo di re”.
“Ha salvato gli altri, salvi se stesso”.
Ecco il primo tratto della singolare regalità di Gesù.
Riconoscono in Lui una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Racconta, con la sua vita, un Dio che non chiede sacrifici all'uomo, ma che si sacrifica per l'uomo. Che al centro non pone se stesso, ma l'uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la propria gloria o l'adorazione, ma la vita piena dell'uomo.
“Egli invece non ha fatto nulla di male”.
Questo il secondo tratto del volto del Cristo re, rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce. Niente di male, in quell'uomo; innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l'inganno.
Il ladro intravede in quell'uomo esclusivamente buono, l'inizio di una umanità nuova.
Ed è in questo regno che domanda di entrare.
“Ricordati di me” - prega il ladro morente. “Sarai con me”, risponde l'Amore.
E Gesù non solo si ricorda, ma fa molto di più: lo porta con sé, se lo carica sulle spalle come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, per riportarla a casa, nel suo regno: “sarai con me!”. La logica del Regno di Dio non esclude, ma avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.
Non ha nessun merito da vantare questo malfattore.
Ma Dio non guarda ai meriti. Guarda alla povertà, al bisogno, come un padre o una madre guardano al dolore e alle necessità del figlio.
“Sarai con me”: la salvezza è un regalo, non un merito.
E se il primo che entra in paradiso è quest'uomo dalla vita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena.
Nel suo limite più basso l'uomo è sempre e ancora amabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.
Il Figlio di Dio ha accettato di scendere nei bassifondi della morte per attraversarne da uomo l’inquietudine e l’enigma. Bisogna essere dei signori per arrivare fino a lì. Ci vuole davvero un grado elevato di grandezza umana per raccogliere dal basso i frammenti e ricomporre la dignità umana che per Dio non viene meno.
L’unico potere capace di tenere accese le sorti della vita è quello della dedizione che rischia di perdere la propria. Lo sa ogni madre e ogni di padre di questa terra.
La regalità a cui Dio chiama è sempre quella che serve le ragioni della vita.
Il Figlio ha detto questo in un modo unico e irripetibile.
Alla Chiesa è chiesto di essere solo un umile ma fermo riflesso di questa dedizione.
Consapevoli che bisogna essere dei signori per restare all’altezza di una tale vocazione.


Con questa domenica, dopo due anni e mezzo, concludo i miei tentativi di commentare il vangelo della domenica per questo sito.
Ringrazio tutti i lettori che in questi anni mi hanno prestato attenzione.

Grazie
Don Sebastiano Carlo Vallati



 

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