Le nostre novelle
S.S. Corpo e sangue di Cristo, anno A, 18 giugno 2017
La pima lettura ci dice che al termine del cammino di quarant'anni nel deserto, Mosè invita il popolo a «ricordare» quello che è accaduto.

S.S. Corpo e sangue di Cristo, anno A, 18 giugno 2017

 

La pima lettura ci dice che al termine del cammino di quarant'anni nel deserto, Mosè invita il popolo a «ricordare» quello che è accaduto.

«Ricor­dare» non vuoI dire semplicemente trattenere nella men­te quello che è passato nella realtà. «Ricordare» significa piuttosto capire ciò che rischia di passare del tutto, come cancellato dal tempo e dalla stanchezza.

Ce ne accorgiamo anche noi che me­diante il ricordo, il passato acquista figura, manifesta un senso.

«Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere», ricordati e riconosci che Egli stesso ti conduceva; proprio per questo quel cammino aveva un sen­so.

La meta del cammino è espressa da Mosè in due modi di­versi:

a) Il primo modo è questo: Dio ti ha umiliato e ti ha messo alla prova «per sapere quello che avevi nel cuore».

Ha forse bisogno di una prova Dio per capire quello che l'uomo ha neI cuore? Certo che no.

Ma l'uomo sì che ha bi­sogno di una prova per capire ciò che davvero ha nel cuore: e siccome ciò che abbiamo nel cuore non è davvero nostro sino al giorno in cui non lo accettiamo, così si può dire che Dio stesso ha bisogno della prova per conoscere quello che l'uomo sceglie.

Dio aveva un'attesa: s'aspettava che l'uomo capisse che non si può vivere soltanto di pa­ne. Possiamo dire che Dio operava perché proprio questo accadesse.

Alla prova della fame aveva aggiunto il dono della manna, il dono di un cibo sconosciuto, «per farti capire che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore».

In quel deserto, Dio aveva fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima: per farti capire che la sorgente della vita si apre là dove Dio 'conduce l'uomo, non invece là dove l'uomo rivolgerebbe vo­lentieri i suoi passi.

Ma il popolo non comprese: nei giorni in cui là si trovava, aveva maledetto il deserto e aveva mormorato contro Dio; nei giorni in cui abiterà ormai in una terra fertile, rimpiange­rà la manna del deserto e l'acqua scaturita dalla roccia.

All’incomprensione del popolo d'Israele assomiglia la nostra: siamo sempre inclini a lamentarci del presente quasi fosse impossibile a viversi; il nostro ricordo del passato non ci fa comprendere il senso di un cammino, ma solo ci induce al rimpianto di ciò che non può tornare.

Le folle di Galilea avevano mangiato di quel pane mira­colosamente moltiplicato da Gesù in un luogo deserto: ma non avevano riconosciuto un segno, semplicemente s'erano saziate per un momento.

Il giorno dopo esse cercarono di nuovo Gesù, nell'attesa che ripetesse il gesto del giorno pre­cedente. Gesù non ripeté quel gesto, ma parlò del senso di quel gesto: «lo sono il pane disceso dal cielo, Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».

Non sa mangiare di quel pane chi attraverso il segno pas­seggero di un giorno, non sa aprirsi al desiderio della vita che rimane per sempre.

La vita dell'uomo in questo mondo appare appunto come vita nel deserto, perché l'uomo impari a desiderare la «terra promessa»: quella terra nella quale la vita è per sempre, e non per un giorno. Le folle di Galilea non capirono. Neppure gli stessi disce­poli capirono sempre, capirono tutto, capirono subito. Ma capiranno poi, quando gli avvenimenti di quei giorni si vol­geranno nella memoria e nella fede.

L'Eucaristia è appunto il gesto mediante il quale istruire nei nostri cuori la memoria di quei giorni: non la memoria di un tempo irri­mediabilmente passato e lontano, ma la memoria che ricono­sce un cammino, una meta, un destino a noi proposto fino ad oggi.

Oggi, ricordando la vita e la morte di Gesù, proclamando la sua risurrezione, rompiamo la durezza dei cuori increduli, attaccati alla vita di un giorno per aprirci alla speranza e alIa ricerca della vita che dura per sempre.

Che nutrono questa spe­ranza sono il suo corpo e il suo "sangue: i segni cioè della sua morte. Una morte vissuta non quasi fosse la fine di tutto, ma al contrario vissuta come l'offerta generosa di chi - avendo conosciuto la promessa di Dio ed essendo ormai persuaso della sua fedeltà alle promesse - più non condan­nato a curarsi della vita di un giorno; al contrario è libero di donare la propria vita in testimonianza della verità di una parola che esce dalla bocca di Dio.

 

D. Sebastiano Carlo Vallati

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