XIV domenica del tempo ordinario - 9 luglio
Due settimane fa abbiamo festeggiato la festa del Sacro Cuore di Gesù.
Il vangelo di oggi rende manifesto ciò che abita il cuore di Gesù: “Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”.
Perché Gesù ci ristora?
Per due motivi, almeno così mi sembra: ° perché mi conosce e ° perché ha una parola vera che dà speranza.
° Gesù ci conosce: più volte nel vangelo si dice che Gesù conosceva i pensieri delle persone, dei discepoli, sapeva quello che c’è nell’uomo. Pensiamo all’incontro con la Samaritana: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E Pietro che all’ultima domanda di Gesù Risorto, risponde: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo”.
Quindi, quando ci mettiamo davanti alla Scrittura, al tabernacolo, quando ci ritroviamo in Chiesa, ci mettiamo davanti a Gesù Cristo che ci conosce.
E Gesù ci conosce perché ha condiviso la nostra umanità: sa cosa vuol dire vivere, piangere, essere tentati. Nella lettera agli Ebrei si legge che “Gesù imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Egli ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra umanità. Nella Pasqua conosce il dramma della sofferenza, del dramma del peccato, della morte. E come un buon medico conosce anche la causa dei nostri mali, così come la conosciamo noi.
A volte nella vita siamo stanchi e oppressi anche per colpa nostra, per le nostre scelte.
Quando san Paolo nella seconda lettura parla del vivere secondo la carne e non secondo lo Spirito, è per dire che a causare certe malattie è anche il nostro egoismo, i nostri cattivi pensieri e non buone azioni.
Per questo spesso Gesù comincia con lo sciogliere le catene spirituali, prima della guarigione fisica. Al paralitico dice: “Figlio, i tuoi peccati ti sono perdonati”.
° E così diciamo il secondo punto: Gesù ci ristora grazie alla sua parola di speranza.
E tra queste parole di speranza c’è anche quella ascoltata nel vangelo oggi: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Il mio giogo, infatti, è soave e il mio carico leggero”.
Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo; invita ad affidare a Lui tutti i nostri affanni, le nostre fatiche, anche il nostro peccato.
E dovremmo imparare a vedere la preghiera anche così, come un riposarsi con il Signore, un imparare ad essere miti, umili e pazienti come Gesù Cristo.
Potrebbe aiutare ogni tanto mettersi davanti a Colui che ci conosce e ripetere alcune frasi del vangelo per trovare ristoro in quella Parola.
Ma è anche vero che Gesù parla di un giogo, che resta tale e che non toglie la fatica di portarlo.
Diventare miti, umili, imparare ad amare come Gesù è un lavoro impegnativo, comporta sforzo e fatica.
Il riposo al quale chiama ci chiama Gesù diventa anche un tempo per chiedere di vivere secondo lo Spirito Santo e non secondo la carne. Lo stare con Gesù è un riposo per avere la forza e il desiderio di vivere secondo il vangelo perché lì troveremo la pace, il riposo, ristoro.
Quindi, quando siamo affaticati, oppressi anche per colpa nostra, per scelte sbagliate, mettiamoci davanti a Gesù Cristo che ci conosce, sa cosa abita il nostro cuore e ci ristora anche perdonando i nostri errori.
Ma il ristoro è anche in vista della ripresa di un cammino, dove nonostante le fatiche, hai intuito che se vivi non nell’egoismo (radice delle opere della carne) ma nell’amore, nel dono, nella mitezza, nell’umiltà (che sono frutti dello Spirito) trovi gioia e così impari sulla tua pelle che il giogo di Gesù è veramente leggero, rispetto a, quando portiamo il giogo pesante delle opere della carne.
D. Sebastiano Carlo Vallati