XV domenica del Tempo ordinario (Mt 13, 1-23) – 16 luglio
“Chi ha orecchi ascolti”.
L’invito di Gesù è a svegliarsi, a fare attenzione, perché qualcosa potrebbe sfuggirci.
Ma nonostante tutto, compresa la nostra poca attenzione, la parola del Regno è qui, fra smentite e successi, già ora efficace.
La fatica del seminatore non è mai inutile, perché la Parola porta sempre frutto.
Come la pioggia e la neve fecondano sempre la terra (così aveva annunciato il profeta Isaia), così è la parola di Dio: sempre efficace, ma a modo suo. Proprio perché è parola di Dio può percorrere strade che non sono le nostre. Raggiunge sempre il suo scopo, ma non ci è dato di sapere dove e come. Non resta che seminarla con fiducia.
Nei vari tipi di terreno raccontati nella parola, Gesù induce ad un esame di coscienza personale. Le cause che impediscono alla parola di fruttificare sono diverse.
C’è chi ascolta senza capire, in modo superficiale.
C’è l’uomo entusiasta, ma troppo volubile, privo di radici. Gusta la bellezza della Parola, ma gli manca la solidità per perseverare. La Parola è esigente e porta con sé sempre tribolazione e persecuzione. Non per nulla nelle Beatitudini si legge: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male” (Mt 5,11).
Ci sono poi due passioni che tendono ad invadere il cuore dell’uomo: gli affari e l’attrattiva della ricchezza. Anche qui: la Parola è stata colta in tutta la sua verità, ma poi è mancato il coraggio, la paura di pagare un prezzo troppo alto nella sequela evangelica.
Quattro verbi descrivono il terreno buono: “ascoltare”, “capire”, “fruttificare”, “fare”. Quattro tappe che permettono al Vangelo di compiere la sua corsa.
Il problema, ieri come oggi, è questo: perché l’incredulità? Come si spiega che di fronte alla stessa Parola di Dio alcuni credono e molti no? Se l’annuncio di Gesù è così affascinante, una buona notizia, non dovrebbe essere convincente per tutti?
Certamente è in gioco la libertà dell’uomo.
La comprensione del regno è data, nel senso che l’uomo con le proprie forze non può raggiungere la conoscenza dei misteri del regno, ma è Dio che gliela dona.
La precedenza, il primato spetta sempre a Dio.
Ma la precedenza di Dio non riduce lo spazio della responsabilità umana. Se Gesù parla alle folle in parabole è “perché non vedono, non ascoltano e non comprendono”.
Gesù sembra dire: la mia parola diventerà chiara, comprensibile, solo se chi ascolta è disposto a mettersi in gioco, se è disposto a mettersi in discussione: “Chi ha orecchi, ascolti”.
La verità della parabola del seminatore si aprirà soltanto per chi vorrà cercarla, per chi dimostrerà di avere orecchi per intendere.
Come dice il biblista Bruno Maggioni, “Gesù parla alle folle in parabole non per accecarle, ma perché già non vedono”.
La parabola è spiegata ai discepoli perché sono già disposti a comprenderla. “Dio è chiaro per chi è disposto a capire”, scrive ancora Maggioni. Non è Dio che rende duro il cuore del popolo: esso lo è già.
Un aforisma rabbinico dice: “Presso gli uomini avviene che un recipiente vuoto accoglie qualcosa, ma non uno pieno. Ma con Dio non è così; con lui un recipiente pieno raccoglie, ma non uno vuoto”. Detto simile all’espressione di Gesù: “chi ha sarò dato e sarà nell’abbondanza, invece a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. La cecità genera ulteriore cecità, come la luce altra luce, chi accoglie la verità diventa sempre più pronto a riconoscerla. Chi la rifiuta diviene sempre più cieco.
Le parole conclusive di Gesù sono un invito a gioire per, quando si comprende qualcosa della Parola e si decide di viverla.
D. Sebastiano Carlo Vallati