XIX domenica del Tempo ordinario – 13 agosto
La prima lettura presenta il profeta Elia in un momento di crisi esistenziale.
Elia aveva appena ucciso i 450 profeti di Baal e si trova minacciato di morte dalla regina Gezabele. Allora, preso dalla paura, fugge nel deserto e desidera morire: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”.
Uno stato d'animo, quello di Elia, in cui non si vede più uno spiraglio di luce nella propria vita, ogni speranza è spenta perché sembra che non ci sia più nulla da fare su questa terra, nemmeno per il Signore. La morte appare come l'unica prospettiva.
In questi momenti solo un angelo può venirci in soccorso, portarci un po' di cibo per riprendere il cammino.
L'inizio per uscire dalla paura e crescere nella fede, sta nel credere di quello che la Parola di Dio ci dice: cioè che Dio è accanto a noi, soprattutto, quando si è in difficoltà. È difficile per l'uomo avvertire la presenza del Signore, soprattutto se presi dal dolore o dallo scoraggiamento. Ma occorre lasciare che il Signore purifichi le nostre concezioni su di Lui.
Allora scopriremo che Dio non si lascia percepire secondo quanto abbiamo immaginato di Lui: Dio non è nel vento e nemmeno non è nel terremoto o nel fuoco.
La Parola di Dio ci dice che non si esce dalla paura proiettando su Dio il nostro desiderio di potenza, ma riconoscendo l'onnipotenza mite e discreta della presenza di Dio che incontra Elia nel “sussurro di una brezza leggera”.
Il Vangelo, attraverso la vicenda di Pietro, vuole suscitare in noi il desiderio di aprirsi a quella stessa esperienza che ha fatto Elia, ossia il passaggio dalla paura alla fede.
Il vangelo di Matteo si conclude con una promessa di Gesù: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo” e inizia dicendo che è nato un bambino chiamato Emmanuele, Dio con noi e Gesù, Dio salva.
Infatti, questa barca dei discepoli in mare aperto in balìa del vento contrario e delle onde, non è abbandonata dal Signore Gesù, il quale si fa presente ai suoi discepoli: sul far del mattino “viene verso di loro camminando sul mare”.
Ma noi sappiamo riconoscere la sua presenza e mettere in lui la nostra fede?
Quando Gesù aveva pIacato la tempesta, i discepoli erano con Lui in mezzo al mare; eppure ora sono assaliti dalla paura. Subito Gesù li rassicura con poche, straordinarie parole: «Coraggio, Io Sono» – il Nome impronunciabile di Dio rivelato a Mosè (cf. Es 3,14) – «non abbiate paura!».
Dio da sempre esorta i credenti a non temere, a dimorare sicuri in lui.
E questo invito è particolarmente frequente sulle labbra di Gesù, fino ad essere rivolto dal Risorto alle donne nell’alba della resurrezione, l’evento che segna la vittoria definitiva dell’amore sulla morte.
La nostra risposta a tale esortazione dovrebbe consistere in una fede salda, senza che vi sia bisogno di alcuna prova.
Eppure spesso cediamo alla tentazione di esigere da Gesù un segno tangibile, come qui fa Pietro: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque».
“Signore, se sei tu”: pronuncia le stesse parole del tentatore nel deserto. Se vuoi fare il Messia devi essere potente, conquistare gli uomini con i miracoli.
Pietro domanda una cosa giusta e una sbagliata.
“Comanda che io venga verso di te”, richiesta bella, perfetta: andare verso Dio! Ma poi sbaglia chiedendo di andarci camminando sulle acque. A che cosa serve questa esibizione di potenza che non ha come scopo il bene delle persone. Pietro si rivela uomo di poca fede non, quando è travolto dalla paura delle onde, del vento e della notte, ma prima, quando chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede.
“Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. È una domanda che costringe Pietro a fare i conti con l’incredulità che lo abita, una domanda rivolta anche a noi. Quando infine Gesù sale sulla barca, il vento si placa. Allora i discepoli confessano: «Tu sei veramente il Figlio di Dio». Gesù per ora tace, ma più avanti chiarirà cosa significa e cosa comporta il suo essere Figlio di Dio.
D. Sebastiano Carlo Vallati