XX domenica del Tempo ordinario – 20 agosto
Le letture di oggi ci dicono che la fede è sconfinata, cioè senza confini.
Nella prima lettura Isaia dice che la casa di preghiera del Signore, il tempio dove si ritrovavano gli ebrei, sarà ampliata e così capace di essere “casa di preghiera per tutti i popoli”. E san Paolo (seconda lettura) scrive che “Dio è misericordioso verso tutti”.
Lo stesso Gesù, in una delle poche volte in cui esce dai confini d’Israele, a fronte della grande fede della donna Cananèa (e quindi una pagana) accetta di oltrepassare i confini tradizionali della sua missione. Guarisce la figlia di quella donna, nonostante questa non appartenga alle “pecore perdute della casa d'Israele” cui Egli è stato inizialmente mandato.
Quindi: la fede, così come la misericordia divina è sconfinata e pertanto accessibile a tutti, ma non è un possesso scontato.
La pagina evangelica testimonia la fatica per giungere ad apprezzare il carattere s-confinato della fede.
Questo passo evangelico può provocare un po’ di fastidio perché Gesù, in prima battuta, appare inaspettatamente rigido.
I discepoli gli chiedono di esaudire la Cananèa, guarendone la figlia tormentata da un demonio, ed Egli risponde in modo da confermare l'idea per cui il Messia doveva dedicarsi esclusivamente agli Israeliti. Anche quando la donna trova il coraggio di avvicinarsi, Gesù risponde in modo duro, quasi offensivo.
Però questa risposta suscita nel cuore della donna la forza di rispondere con libertà e intelligenza: “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
L'amore per la figlia spinge la donna a non cedere sul suo desiderio fondamentale: la Cananèa, per quanto pagana, sa che Gesù può salvare sua figlia e non ha alcuna intenzione di accettare passivamente un rifiuto solo perché appartiene ad un altro popolo.
Gesù riconosce nel suo atteggiamento una fede grande e l’esaudisce.
Certamente Gesù è consapevole della sua appartenenza al popolo ebraico.
E tuttavia è capace di vivere la sua identità non in modo chiuso ed escludente.
E così Gesù insegna a non fare dell’identità un idolo.
L’identità di Gesù è costituita anche dall’ascolto della sofferenza dell’altro. Gesù si Iascia interpellare e cambiare dalla sofferenza che muove la donna.
Questa donna in un certo senso, “converte” Gesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa sconfinare da Israele, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini: la fame è uguale, il dolore è lo stesso, identico l'amore delle madri.
Questa donna sembra dire a Gesù: “tu non sei venuto per quelli di Israele, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e figli da saziare, anche quelli che pregano un altro dio”.
Vi è un territorio abitato da ogni uomo, la sofferenza che travalica ogni patria e ogni confine e ci rende tutti “connazionali”.
La grande fede di questa donna sta nel credere che la sofferenza di un figlio conta più della sua religione. E sa che Dio è felice, quando vede una madre, qualsiasi madre, abbracciata felice alla carne della sua carne, finalmente guarita.
E questo racconto evangelico mette in scena lo strumento più potente per cambiare la vita: l'incontro.
Un elemento saliente dell’autorevolezza di Gesù: la sua capacità di far crescere e fiorire le persone che incontra, riaprendo per loro spazi inattesi di vita nuova. Così egli abbatte le barriere che separano gli uomini e ci narra che, quando si incontra in verità una persona, questa cessa di essere ciò che i muri la rendono, per tornare ad essere semplicemente un essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio.
Dovremmo ricordarlo, quando siamo tentati di erigere nuovi muri frutto del nostro cattivo zelo.
D. Sebastiano Carlo Vallati