XXIV domenica del Tempo ordinario – 17 settembre
Suscita un certo fastidio, quando il giornalista va a ficcare il microfono sotto il naso del parente della vittima per chiedergli se, in quanto credente, si sentirà di perdonare il carnefice del coniuge o del figlio.
Una tale domanda, quando si è toccati dal dolore, è fuori luogo.
In quel momento il tragico del male che l’uomo fa all’uomo, non può rimanere nell’ombra.
Ma anche in casi meno drammatici, la domanda sul dono del perdono, è sempre fastidiosa. Davanti a qualcosa di grande, si resta senza parole.
Gesù propone un uomo nuovo e ciò che è chiesto a quell’uomo, non è sempre facile da vivere. E spesso si tace per quel motivo.
Pietro aveva intuito la portata di una tale proposta eccedente: non basta la mia misura già eccedente, generosa nella larghezza del perdono: sette volte?
No, Pietro, non basta: la misura è settanta volte sette, cioè sempre, ad oltranza.
L’uomo, nelle sue relazioni, è come condizionato da un bisogno di misurare, quantificare il dono: porre limiti al perdono sembra garantirsi una sorta di giustizia che lascia la porta aperta ad altre modalità più istintitive e ragionevoli per difendersi dal fratello che commette una colpa contro di te. Va bene una, due, tre… ma poi basta.
Se si rimane su un piano di giustizia, si resta come intrappolati da quei sentimenti che covano nel cuore dell’uomo: rancore, collera, vendetta.
Su questo aspetto la prima lettura, tratta dal libro del Siracide, è di una lucidità impressionate, perché se ti lasci rovinare l’anima da questi sentimenti, la tua vita diventa un inferno. Non c’è altra strada che il perdono, d quale ne abbiamo bisogno come il pane, (tant’è che nel Padre Nostro è l’unica cosa che ci è chiesta).
L’unica condizione posta dal Padre è che chi è chiamato a perdonare, non deve mai dimenticare che lui stesso è un peccatore bisognoso di perdono.
La parabola racconta:
un Dio che è misericordia, che condona un debito immenso e quindi il perdono non può limitarsi a perdonare ciò che è scusabile, ma perdonare l’imperdonabile (Salmo 102).
b) L’uomo della parabola non ha compreso la fortuna che gli è capitata: il perdono non lo ha rigenerato, l’incontro con la gratuità senza limiti non gli ha aperto il cuore. Non ha compreso che accettare di essere perdonati significa entrare in un mondo nuovo di agire, di rapportarsi con gli altri.
c) il perdono che Dio offre è talmente serio che non ti può lasciar indifferente. Se non ci trasforma allora la sua forza è vanificata in noi: che l’uomo estenda il perdono ricevuto o lo trattenga per sé, agli occhi di Dio non è la stessa cosa.
È quindi comprensibile la tristezza, il dolore dei compagni di fronte all’agire malvagio del servo che non ha pietà del suo creditore.
D. Sebastiano Carlo Vallati