XXVII domenica del Tempo ordinario - 7 ottobre
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d'angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Mt 21,33-43
Nella vita una delle esperienze che causano più tristezza è di sentirsi dire: “Tu mi hai deluso, non hai ripagato la fiducia che avevo posto in te”.
Se riusciamo a entrare in questo sentimento di delusione, possiamo comprendere le letture di oggi. Anche se poi la delusione è superata dall’infinita pazienza divina (ancora una volta, i suoi pensieri non sono i nostri).
La prima lettura e il vangelo raccontano la delusione di Dio.
Dio si aspettava fedeltà e dall’uomo arriva menzogna; si aspettava giustizia e l’uomo sparge sangue.
Per dire questo, Gesù nella parabola usa il simbolo della vigna.
Nel Mediterraneo la vigna è la coltivazione per eccellenza, che comporta anni di lavoro, richiede cura e amore, esige un rapporto stabile e pieno di attenzione verso di essa da parte del vignaiolo. Basta pensare che la vigna è un impianto stabile, occupa il terreno per generazioni, non è come un prato o un campo che annualmente possono essere destinati ad altre coltivazioni. Proprio questo legame duraturo, quest’alleanza tra la vigna e il vignaiolo, genera un amore profondo e appassionato da parte di chi lavora per la “sua“ vigna. Sono queste le ragioni per cui già i profeti avevano intravisto nell’amore tra vignaiolo e vigna una narrazione dell’amore tra Dio e il suo popolo ed erano ricorsi all’immagine della vigna per esprimere il rapporto di alleanza: una storia tormentata ma piena di amore tra il Signore e la sua proprietà, il suo tesoro.
Isaia, in particolare, aveva cantato “il canto di amore dell’amante per la sua vigna“ (Is 5,1; cf. vv. 1-7), raccontando di un vignaiolo che aveva vangato la terra, l’aveva liberata dai sassi e vi aveva piantato ceppi scelti di vite. L’aveva addirittura ornata con una torre in cui aveva posto un tino. Avendole dedicato tanta cura, si aspettava da essa uva buona e bella, invece quella vigna si era inselvatichita producendo grappoli di uva immangiabile.
Questa immagine era ben conosciuta da Gesù e dai suoi ascoltatori, perciò, non appena Gesù inizia la parabola dicendo che “un padrone aveva piantato una vigna“, i presenti capiscono subito di cosa si tratta: è una storia su Dio e su Israele, sua vigna.
Questo proprietario, affida la sua vigna, a dei contadini perché la lavorino in sua assenza: la vigna continua a essere sua proprietà, ma è affidata ad altri uomini.
E sappiamo come va a finire.
Gesù racconta quest’allegoria alla vigilia della sua passione, la racconta proprio per quelli che la metteranno in pratica contro di lui, fino a rigettarlo fuori dalla città e a crocifiggerlo.
La parabola racconta di un amore e di un tradimento.
E il canto d’amore si cambia in accusa: “Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per lei? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?” (Is 5,4).
Quest’accusa di un Dio deluso, rimanda al Venerdì Santo, quando nella liturgia si prega un Inno dove Dio domanda: “Popolo mio, che male ti ho fatto?”, ho mandato messaggeri, poi mio figlio, e li avete uccisi. Perché?
Gesù sarà crocefisso fuori Gerusalemme, così come il figlio della parabola è ucciso fuori della vigna.
Gesù ha coscienza di essere il Figlio inviato dal Padre nella vigna di Israele, sa ciò che lo attende come fine della sua missione in questo mondo e non si sottrae a questa “regola” inscritta nella storia umana: in un mondo ingiusto, il giusto può solo essere rigettato fino a essere eliminato! Gesù sa che il Padre non l’ha mandato nel mondo perché subisca la morte violenta; sa che il Padre, come il padrone della vigna, l’ha inviato perché sperava, perché spera di essere accolto. E anche se questa è la fine dolorosa che lo attende, Gesù sa che l’ultima parola spetta comunque al Padre.
Come sta scritto, la pietra che i costruttori (questo è il termine con cui si chiamavano i capi religiosi del tempio) avrebbero scartato, messo fuori dalla costruzione, Dio l’avrebbe scelta e posta come testata d’angolo, facendo poggiare su di essa tutta la costruzione.
Gesù crede, aderisce a questo piano di Dio profetizzato e cantato nel salmo 118.
Avviene così che l'agire di Dio, che fa dello scarto umano il fondamento della storia di salvezza, sia contraddetto dal nostro agire che crea scarti e produce emarginati.
Questo l'agire di Dio che “sceglie ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato”. Questo lo scandaloso agire messianico, e questo è chiamato a essere l'agire dei cristiani.
Gli uomini rigettano quella pietra che Dio invece sceglie e rende angolare, fondamento della sua comunità. Quella pietra che è Gesù stesso, il crocefisso risorto.
Il rischio è di ascoltare il vangelo di questa domenica, come degli spettatori.
Eppure anche noi possiamo avere il cuore duro, che rifiuta di accogliere Cristo come pietra angolare. Anche noi possiamo credere di essere i padroni assoluti di quella vigna che è la nostra vita e le comunità nelle quali viviamo.
L'atteggiamento dei contadini cui è affidata la vigna denuncia un pericolo perenne nella comunità cristiana: è la tentazione di quanti guidano chiese o comunità.
A un certo punto la chiesa, la comunità è sentita come se fosse cosa loro; la presenza del Signore sbiadisce e si fa lontana; ed essi pensano di tenere il posto che spetta al Signore. Così non si sentono più “servi inutili”, ma assolutamente necessari, infallibili nel loro governare, in qualche modo padroni.
Il vero padrone, invece, è il Signore.
D. Sebastiano Carlo Vallati