XXXIII domenica del tempo Ordinario - 17 novembre
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30)
Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne porto altri cinque , dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “ Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone - , sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “ Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
A questa parabola facciamo riferimento abbastanza spesso (quando, ad esempio, riconosciamo a una persona un certo talento). Ma non è una parabola facile da capire.
Può essere utile sapere dov’è collocata nel vangelo di Matteo.
Viene subito dopo la parabola delle dieci vergini e prima della scena del Giudizio Universale. Seguirà il racconto del cammino di Gesù a Gerusalemme e della sua passione, morte e resurrezione.
In questo cammino Gesù educa i suoi discepoli alla comprensione del racconto che Lui fa del volto di Dio. E il vangelo non nasconde la fatica, l’incomprensione dei discepoli a comprendere quella narrazione.
Allora la parabola dei talenti più che sottolineare il come e quando il Signore verrà, pone l’accento su qual è il volto di quel Signore che viene. Perché se non sai qual è il suo volto rischi di cadere in fraintendimenti.
Alcune domande sorgono: il padrone della parabola sarà veramente l’immagine di Dio? Se Gesù presenta il volto di Dio come padre, Abbà, come può essere un padrone duro che “raccoglie dove non ha seminato” e bastona chi nella vita non è riuscito a far rendere i talenti che aveva? Come mettere insieme questa parabola con quella dove il padrone paga gli operai dell’ultima ora con la medesima paga degli operai della prima ora? Come accostare questa parabola con quella dove un padre misericordioso attende nella bontà un figlio che ha sperperato ben più di un talento?
Nella parabola di questa domenica stupisce, ad esempio, il fatto che, dei tre servitori, venga trattato così male colui, che certo, non sarà stato un genio ma ha fatto quella che gli sembrava la scelta più sicura: nascondere bene quel deposito prezioso che aveva ricevuto, così da restituirlo il più integro possibile. Non l’ha perso, né tanto meno rubato, quel tesoro: l’ha conservato e restituito tale e quale l’ho aveva ricevuto.
Mi sembra di poter dire che la narrazione evangelica sembra un avvertimento: non cadere nel tranello, nella tentazione di credere a un Dio padrone diverso da quell’Abbà che Gesù racconta.
Il messaggio della parabola è probabilmente questo: impara a vedere il volto di Dio in modo differente dal tuo. Potremmo dire: noi tendiamo a stare sul sicuro, Dio ci invita a rischiare di più.
In una società dove tutto è all’insegna del sicuro, della sicurezza, delle assicurazioni, anche nella fede la persona migliore sembra essere quella che se ne sta tranquilla, sul sicuro; osserva bene tutte le regole e, soprattutto, cerca di non rischiare.
Qual è il volto di questo Dio, sposo che viene?
Se nella vita riuscirai a giocare i tuoi talenti, se li saprai far rendere non lo farai per interesse o perché sai che il padrone è severo, ma perché hai imparato la logica del dono: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
Certo, facendo così, si sbaglia un sacco volte. Non sbaglia solo chi fa niente, ma lo sbaglio più grande è proprio quello di non fare niente, con la presunzione di non sbagliare.
Una vita generosa si può vivere soltanto se si ha una certa idea di Dio che non è quella dell’ultimo dei tre servi (“Un uomo duro”…, uno che sta a misurarci ciò che abbiamo fatto di bene o di male…).
Il vangelo ci vuole far capire che Dio non guarda le minuzie, non ci colloca su un binario fisso e rigido, come fossimo degli incapaci: considerandoci persone intelligenti e responsabili, ci dà la possibilità di spaziare con una certa libertà. E, infine, ci giudica in sovrabbondanza (“Sei stato fedele nel poco, ti darò… molto”).
Il dono impegnativo che Dio affida all’uomo è anche la sua fiducia nei confronti dell’uomo.
D. Sebastiano Carlo Vallati