Le nostre novelle
Santa Famiglia - 31 dicembre
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Santa Famiglia - 31 dicembre

Dal Vangelo secondo Luca

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Lc 2,22-40

La venuta nella carne di quel bambino di nome Gesù nato a Betlemme, comprende anche il suo crescere, il suo divenire uomo in una determinata famiglia, in un ambiente religioso e sociale determinato. È in questo ambiente che “il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2,40).

Questa crescita umana e spirituale fa parte di quell’assumere la forma umana di Gesù (Fil 2,6-7), del suo condividere in tutto la nostra umanità senza però commettere peccato (Eb 2,15) restando cioè pienamente fedele e obbediente al Padre. “Imparò l'obbedienza dalle cose che patì”, si legge nella lettera agli Ebrei (Eb 5,8). Il vangelo sottolinea il quotidiano e faticoso “divenire uomo” da parte di Gesù, che abbraccia tutti gli aspetti della sua umanità, a partire dall’obbedienza ai suoi genitori.

Ma oltre all’ambiente famigliare, Gesù ha conosciuto anche un determinato ambiente sociale e religioso in cui è stato inserito fin dalla nascita.

E così al compimento degli otto giorni egli viene circonciso, con il gesto che lo rende appartenente al popolo dell’alleanza (Lc 2,21); poi al quarantesimo giorno Maria e Giuseppe, in obbedienza alla Torah, lo portano al tempio di Gerusalemme “per presentarlo al Signore”. Essi offrono “il sacrificio dei poveri” – cioè una coppia di colombi invece di un agnello (cf Lv 5,7; 12,8), per loro troppo costoso – e in questo modo adempiono le norme di purificazione previste.

Ma questa obbedienza diviene ormai, per la presenza di Gesù, compimento della Leggescrive il monaco Enzo Bianchi -: presentato al tempio, Gesù non viene riscattato mediante il pagamento di una somma di denaro, perché è lui stesso il riscatto, “la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38), colui che è venuto a dare la vita in riscatto per tutti; non viene santificato, come esigeva la Legge per ogni primogenito (cf. Es 13,2), ma viene riconosciuto Santo, come già era stato proclamato per bocca dell’angelo. Per quanto al momento possa apparire paradossale – ma è il paradosso cristiano della forza nella debolezza (cf. 2Cor 12,10) – il neonato Gesù “entra nel suo tempio come Signore”, secondo le parole di Malachia (cf. Ml 3,1), l’ultimo profeta dell’Antico Testamento”.

A riconoscere Gesù al tempio sono due anziani credenti, Simeone e Anna, che attendevano la venuta del Messia. Grazie alla luce dello Spirito santo, Simeone prende tra le sue braccia il bambino e proclama il Nunc dimittis (pregato, nella Liturgia delle Ore, ogni sera nell’ufficio di compieta, ultima preghiera della giornata): egli ormai può morire in pace, perché i suoi occhi hanno contemplato in quel bambino la salvezza di Dio. In riferimento a Simeone, si può leggere la beatitudine rivolta da Gesù ai suoi discepoli: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono” (Lc 10,23-24). Simeone rivela anche a Maria che Gesù è venuto a portare sulla terra la divisione (cf. Lc 12,51). E la storia di Gesù sarà una conferma di quelle parole.

Anche l’anziana profetessa Anna, dopo essersi lungamente preparata con tutte le sue forze all’incontro decisivo con la salvezza di Dio, intuisce che è giunta l’ora del compimento atteso. Così, alla sera della sua vita, Anna loda il Dio fedele, che mantiene sempre le sue promesse, e annuncia il bambino quale Redentore e Salvatore.

D. Sebastiano Carlo Vallati

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