XI domenica del Tempo ordinario
Dal vangelo secondo Marco (4,26-34)
In quel tempo Gesù diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 2e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Il popolo eletto è esiliato in Babilonia e non ha più né terra, né tempio. Della storia gloriosa di Israele non rimane che un ceppo sterile.
In questo momento così negativo, però, il Signore imprime la sua capacità visionaria alla voce del profeta per ricordare al popolo che “lungo la notte” (Sal 91,3) la speranza può dilatarsi.
Da quell’albero reciso che è ormai la discendenza di Davide, Ezechiele rivolge al popolo inattese parole di fiducia: “Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà” (Ez 17,22-23. I lettura della liturgia di domenica 17 giugno).
Il compito della profezia è questo: leggere la storia e le nostre storie alla luce della fedeltà di Dio. Fedeltà che rimette foglie e frutti sui rami delle nostre esistenze/alberi rinsecchiti, quando l’unico destino sembra la sterilità.
Gesù, trae spunto attingendo parole ed esempi dall’immaginario ‘botanico’ per illustrare il mistero del regno di Dio.
La parabola del seme ci dice che l’instaurarsi della sovranità di Dio nel mondo degli uomini, si sviluppa in una storia simile a quella narrata nella parabola.
Come avviene nel mondo agricolo, un uomo getta il seme sopra la terra, prima di arare il terreno che lo fa andare sotto terra. Il seme sviluppa progressivamente i suoi stadi. Che il contadino vegli o dorma, il seme germoglia e cresce secondo un processo che (al tempo di Gesù) egli non conosce e non sa spiegare.
La terra produce automaticamente il “frutto”.
Così è anche il crescere della vita eterna in noi: per quanto possiamo preoccuparci o sforzarci, il suo sviluppo non sta nelle nostre mani e non dipende dalle nostre misurazioni. La vita divina matura in noi secondo logiche sue che sfuggono alla nostra ansia e pianificazione. La vicenda della Parola nel crogiuolo della storia è totalmente nelle mani di Dio e del suo Cristo.
Quante volte siamo ansiosi da rimproverare la lentezza delle cose.
Gesù ci invita a constatare che l’erba non cresce se la tiri: la vita, il cammino di fede, un fidanzamento, un’amicizia… ogni cosa ha il suo ritmo per imparare a fidarsi, conoscersi, amarsi, crescere.
La parabola narra anche del piccolissimo seme di senape che diventa col tempo la più grande fra le piante dell’orto, offrendo riparo al nido degli uccelli.
È impressionante l’enorme contrasto tra la piccolezza iniziale del seme di senape e la grandezza della pianta, capace di ospitare alla sua ombra i nidi degli uccelli.
La pianta di senape non può decidere quale uccello o nido ospitare fra i suoi rami. È come la “locanda” (cf. Lc 10,34), alla quale il Buon Samaritano porta il disgraziato viandante, affidandolo a “Colui che tutti accoglie” (Lc 10,35).
Quindi, il seme della Parola di Dio ha una sua potenza automatica misteriosa; la crescita è assicurata, e gli esiti sono impressionanti rispetto agli umili inizi.
Questo non vuol dire allora cullarsi su un “automatismo” miracolistico. Altrove Gesù stimola il credente ad operare, a sporcarsi le mani lavorando.
In questa pagina del Vangelo di Marco ha però il sopravvento la consolazione della compagnia di Dio, che ha in mano il cammino di ogni uomo.
don Sebastiano Carlo Vallati