XVIII domenica del tempo Ordinario - 5 agosto 2018
Quando la folla vide che Gesù non era più là si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate perché vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! (Gv 6, 24-35)
Le letture di oggi le sintetizzerei con una poesia di Mario Luzi dove scriveva: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”.
Detto altrimenti: come mai in quanto uomini “siamo pieni di mancanza?”.
Cioè siamo pieni di qualcosa di cui sentiamo la mancanza.
La mancanza può avere un senso negativo, come nostalgia di un tempo giudicato migliore e che non ti permette di apprezzare l’oggi. Come il popolo d’Israele che rimpiange la schiavitù e le cipolle d’Egitto e domanda “Che cos’è?” il dono che Dio ha preparato per loro oggi.
Anche la gente che seguiva Gesù sentiva la mancanza di un pane che era frutto di un miracolo che riempiva la pancia.
Poi, l’incontro con Gesù ti apre gli occhi su un altro senso della mancanza: ti fa capire che il tuo cuore è pieno di una mancanza che è la ricerca di un senso della vita.
Così è stato per Pietro, Matteo, la Samaritana, la Maddalena.
Hanno capito che “non di solo pane vive l’uomo”.
“Fossimo morti in Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando a sazietà”. Israele rimpiange quando era schiavo del bisogno.
E quando l’uomo cerca solo il cibo che perisce, alla fine s’augura di morire.
Israele ora che non hai più da mangiare, s’accorge che ciò che dava senso alla sua vita era la sazietà, la pancia piena.
A volte l’uomo s’inganna così: quando è affamato pensa che a riempire la vita sia li cibo; e poi quando ha la pancia piena, si addormenta.
È vero che l’uomo nasce affamato: il bambino ha fame di sua madre che lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Il giovane ha fame di amare e di essere amato. E così è per gli sposi.
Ma quando hai raggiunto tutto questo e dovresti essere appagato, ti rendi conto che sant’Agostino aveva ragione quando scriveva: “Ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto se non riposa in te”.
Purtroppo, ci crediamo poco a questa affermazione, abbiamo paura di credere e di dire ad altri che solo in Cristo troviamo pace, abbiamo paura di parlare di questa mancanza che tocca la vita dell’uomo.
La gente va da Gesù, chiede i miracoli, chiede il pane, e Gesù dà anche questo.
Poi, però, Gesù non si accontenta perché sa che l’uomo è fatto per qualcosa di molto grande e solo Lui è quel pane capace di sfamare quella mancanza di cui l’uomo è pieno.
Questa mancanza può fare paura, generare un senso di vuoto, evidenziare il nostro limite di uomini.
Ma questo “mancare sempre di qualcosa” è anche la nostra fortuna.
Perché è così che nasce il desiderio di amare, di progettare, andare verso gli altri. Se noi fossimo pieni, non avremmo bisogno dell’altro, non avremmo bisogno di niente, e quindi non saremmo umani.
“Che cosa dobbiamo compiere?” domanda la gente e Gesù risponde: “Credete in me”.
Nel vangelo di Giovanni la cosa più importante da fare è questo: credere in Cristo.
Credere significa decidersi, scegliere.
Nella vita abbiamo già fatto esperienza che niente e nessuno riempie del tutto quella sete d’infinito che portiamo nel cuore. Nella vita hai già fatto esperienza che se riesci a vivere il vangelo, quella Parola non ti delude.
Allora, perché fatichiamo a credere, a deciderci per Gesù Cristo? Perché spendiamo molte energie per il cibo che perisce?
Chissà se ci rivolgiamo a Gesù non solo per quello che ci può dare o per i problemi che può risolvere, ma bensì per il cammino che ci aiuta a compiere per portarci ad andare oltre la soglia dei bisogni e farci crescere nel desiderio di cercare nel Cristo il senso del vivere.
D. Sebastiano Carlo Vallati