Le nostre novelle
XX domenica del tempo Ordinario - 19 agosto
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

XX domenica del tempo Ordinario - 19 agosto

Dal vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

 

La liturgia in queste domeniche ci permette di comprendere come davvero in Gesù si compiono tutte le promesse di Dio: è lui il nuovo Mosè che dona il pane vero che discende dal cielo e che fa vivere, a differenza della manna di cui si cibarono i padri; è lui che imbandisce nel deserto il banchetto escatologico promesso dai profeti, al quale possono sfamarsi tutti, non solo i presenti, poiché il pane viene raccolto e custodito anche per chi non c’è; è lui la Sapienza di Dio attraverso cui il Padre ci istruisce per condurci alla vita eterna.

Eppure, il compiersi di queste promesse viene esposto al fraintendimento e al rifiuto.

Nel capitolo VI del vangelo di Giovanni, assistiamo a un progressivo indurimento del cuore nei confronti di Gesù.

I Giudei prima mormorano di fronte alla pretesa di Gesù di essere il pane disceso dal cielo (per loro era semplicemente il figlio di Giuseppe e Maria); ora

“si misero a discutere: come può costui darci la sua carne da mangiare?”.

Già l’incarnazione è per loro scandalosa; ancora di più è scandalosa la pretesa di Gesù di dare la propria carne da mangiare per la vita del mondo.

La promessa di una vita donata dalla ‘carne’, che nella mentalità biblica allude alla dimensione di fragilità, povertà, impotenza dell’uomo, è ‘scandalosa’. Come può la ‘carne’, che è appunto la persona umana nel suo bisogno di essere salvata, divenire sorgente di vita e di salvezza? E come è possibile mangiare di questa carne?

Il verbo ‘mangiare’ è inteso da Gesù come un entrare in comunione vitale.

Ma, com’è possibile pensare di attingere quella vita piena e durevole, di cui tutti abbiamo fame e sete, a una ‘carne’ che condivide la nostra povertà, il nostro limite, la nostra caducità mortale?

Sembra più affidabile l’invito della Sapienza: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io preparato” (Pr 9,5). Un pane ‘altro’ rispetto a quello al quale siamo abituati ogni giorno, un vino preparato dalla Sapienza di Dio.

Anche la manna nel deserto aveva suscitato la sorpresa degli israeliti, che non la conoscevano e di domandavano man hu, “Che cos’è?” (Es 16,15).

Proprio questo suo non essere subito riconducibile all’esperienza umana, al già saputo, la rendeva segno della cura provvidente di Dio. Davvero era un pane disceso dal cielo.

Ma il pane che Gesù promette come vero cibo è la sua carne, in tutto simile alla nostra, tanto che di lui conosciamo il padre e la madre. Una carne del cui limite tutti facciamo esperienza e che ora ci verrebbe promessa come garanzia di vita eterna! A questo livello si colloca lo scandalo più profondo dei Giudei, come puro il nostro.

Certamente all’immagine del pane e della carne va riconosciuto un linguaggio eucaristico. Ma questo non affievolisce lo scandalo.

L’eucaristia, infatti, è memoria della Pasqua di Gesù, memoria di chi accetta di essere innalzato sulla croce, memoria della promessa di risurrezione perché è disposto a cadere nella terra, come un chicco di grano che muore per non rimanere solo. A donarci la vita eterna è questo ‘mangiare’, cioè entrare in comunione non solo con la carne fragile di Gesù, ma addirittura con questa carne crocifissa.

Questo è il modo con cui Gesù ci comunica la vita. Questo è l’invito più preciso che Gesù rivolge alla nostra libertà, decidere di essere in comunione con lui non solo attraverso lo scandalo dell’incarnazione, ma attraverso un’incarnazione che giunge fino allo scandalo della Croce.

Mangiare la sua carne e bere il suo sangue esige di credere che proprio in questo modo Dio ci comunica la vita.

Solo una carne offerta nel dono di sé, comunica la vita, altrimenti “la carne non giova a nulla” (v. 63). È lo Spirito che dà la vita, è lo Spirito a fare di Gesù una carne totalmente consegnata nelle mani del Padre, obbedendo alla sua Parola, e totalmente consegnata nelle mani degli uomini, nell’offerta di se stesso perché tutti abbiamo la vita e nessuno vada perduto.

Mangiare il pane, inoltre, allude in prima istanza la bisogno umano di cibarsi per vivere; ma evoca anche un’assimilazione interiore, che fa sì che il cibo che mangio diventi in qualche modo ciò che sono, carne della mia carne.

Facendosi pane per la nostra vita Gesù obbedisce a questa dinamica e noi, così, rimaniamo in lui e lui in noi.

E cibandoci di lui impariamo a vivere come Lui: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me” (v. 57).

D. Sebastiano Carlo Vallati

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