XXIII domenica del tempo Ordinario - 9 settembre
Dal vangelo secondo Marco (7, 31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Prima di cercare di capire il senso simbolico del miracolo del sordomuto, è interessante fermarsi a notare i gesti che Gesù compie incontrando quest’uomo.
Lo porta in disparte, lontano dalla folla, e compie dei gesti forti: gli pone le dita negli orecchi, quasi per aprirli e renderli capaci di ascolto.
Il profeta Isaia dice di sé: “Il Signore mi apre gli orecchi ogni mattina, in modo che possa ascoltare senza ostacoli la sua parola” (cf. Is 50,4-5). Poi Gesù prende con le dita un po’ della propria saliva e gli tocca la lingua: è un gesto audace, equivalente a un bacio, un gesto di grande confidenza.
Gesù non guarisce stando a distanza, ma si fa coinvolgere con il suo corpo, i suoi affetti.
Il gesto di porre le dita nelle orecchie è lo stesso che viene compiuto nella celebrazione del sacramento del battesimo. Il ministro tocca l’orecchio del battezzando con il pollice e prega: “Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda il privilegio di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede”. Il cristiano non è solo colui che può ascoltare il vangelo, ma è anche colui che è abilitato ad annunciare il messaggio che ha udito.
Per capire il gesto di porre la saliva sulla lingua del muto va tenuto presente che, nella concezione popolare, la saliva era considerata una specie di concentrato dell’alito, una materializzazione del respiro. Toccando, con la sua saliva, la lingua del sordomuto, Gesù ha dunque inteso comunicargli il suo respiro, il suo Spirito. È quanto avviene nel battesimo: il cristiano riceve lo Spirito di Cristo che lo fa divenire suo profeta.
Effatà è una parola aramaica, la lingua parlata da Gesù, e significa “Apriti!”. Non è rivolta all’orecchio, ma all’uomo che prima non era in grado di udire. È l’invito a spalancare le porte del cuore e a lasciar entrare Cristo e il suo vangelo nella propria vita.
Aprirsi all’altro, agli altri, a Dio, non è un’operazione che va da sé, occorre impararla, esercitarsi in essa, e solo così si percorrono vie umane terapeutiche, che sono sempre anche vie di salvezza.
Oggi viviamo nell’era delle comunicazioni e si posseggono molti strumenti per mettersi in comunicazione. Ma non è detto che la presenza di tutti questi mezzi garantisca la nostra capacità di parlare con l’altro.
Anzi, sembra che nell’era della comunicazione aumentino le difficoltà nel parlarsi.
Sordi e muti si nasce, ma lo si può anche diventare.
E possiamo dire che ognuno di noi, anche se sente e parla, un po’ sordomuto lo è.
Quante volte non vogliamo ascoltare le persone, o come dice san Giacomo ascoltiamo solo chi vogliamo secondo i nostri gusti, le nostre preferenze.
Quante volte siamo sordi nei confronti del Vangelo perché ci disturba.
Nello stesso tempo quante volte siamo stati troppo muti, silenziosi: in alcune situazioni ci veniva chiesta una parola e noi abbiamo preferito il silenzio. “Dite agli smarriti di cuore: coraggio”: forse non abbiamo incoraggiato delle persone che ne avevano necessità.
La nostra capacità di ascolto e di parola è malata
È vero che comunicare è difficile: perché ascoltare è complicato, così come è altrettanto complicato trovare le parole giuste per esprimere ciò che si sente, si vive, si ha nel cuore.
Il primo servizio che dobbiamo rendere ai fratelli è quello dell’ascolto.
Gesù infatti tocca prima le orecchie di quest’uomo: può parlare solo chi sa ascoltare.
Chi non sa ascoltare prima o poi perderà anche la parola perché parlerà senza toccare il cuore dell’altro. Così come nella preghiera, se non ascoltiamo Dio parleremo sempre noi.
Guariremo dalla povertà delle parole solo quando ci sarà donato un cuore che ascolta.
Nel battesimo il rito dell’Effatà (un segno di croce sulla bocca e sulle orecchie) è un modo per dire: “Speriamo che tu possa ascoltare e annunciare il vg”; ma è anche un segno che dice come il nostro ascolto e parlare continuamente hanno bisogno di essere guariti.
“… parlò correttamente”: non è tanto il possedere un linguaggio forbito, brillante che incanta le folle, ma avere l’abilità di trovare parole che parlano alla vita dell’altro.
D. Sebastiano Carlo Vallati