XVIII domenica del tempo ordinario - 15 ottobre
Dal libro della Sapienza (Sap 7, 7-11)
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l'oro al suo confronto è come un po' di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l'argento.
L'ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Dal Vangelo secondo Marco (10,17-30)
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
In Sap 7,1-6, il brano che precede quello che la liturgia di questa domenica ci presenta, l’autore si presenta come un uomo mortale come tutti: come per tutti, il pianto fu il suo primo grido, ha respirato l’aria comune, è caduto sulla terra dove tutti soffrono allo stesso modo, “una sola è l’entrata di tutti nella vita e uguale ne è l’uscita” (v. 6).
Salomone ricorda perciò come, non essendo la sapienza un dono di natura posseduto fin dalla nascita, la richiese nella preghiera come un bene di cui aveva assolutamente bisogno per governare il popolo.
L’autore si riferisce al sogno che il re Salomone ebbe sull’altura di Gàbaon (1Re 3,4-14), durante il quale gli apparve YHWH che gli chiese cosa dovesse donargli.
Salomone, poiché era un ragazzo inesperto di governo, chiese un “cuore che ascolta/docile”, per poter ben governare, per distinguere il bene dal male.
YHWH si rallegrò che Salomone non avesse richiesto doni di gloria e di ricchezza e gli promise un “cuore sapiente e intelligente” più di ogni altro uomo.
Solo YHWH poteva dare a Salomone le doti necessarie a governare saggiamente in così giovane età.
Salomone riconosce di “aver ricevuto in dono la prudenza e uno spirito di sapienza”.
Quello che sembra essere a portata di ogni uomo, il libro della Sapienza lo presenta come una qualità da invocare da Dio nella preghiera per avere luce per compiere i passi giusti.
Salomone ricorda come “preferì” la sapienza a tutti i beni materiali.
Nella II lettura la Lettera agli Ebrei ci ricorda che “la parola di Dio… penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito… e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).
Solo la parola di Dio che conosce in profondità ciò che è nel cuore dell’uomo e ci rivela ciò che abita nel cuore di Dio, può essere luce nel nostro cammino per discernere il cammino da compiere. Il discernimento per giungere a una scelta ‘sapienziale’ della vita può essere illuminato solo dall’incontro con la parola di Dio “che è viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”.
Sulla strada che conduce a Gerusalemme, un uomo ricco è chiamato a scegliere, in un confronto con la parola di Dio, con quel Maestro buono che dona la vita.
Cosa devo “fare per ereditare”?
Domanda posta a Gesù che “è in cammino” là dove donerà se stesso.
L’uomo corre da lui, invece, tutto centrato sul “fare per avere/ereditare”.
Gesù gli mette davanti qualcosa che lui non ha ancora considerato nella sua vita.
Qui sta il salto da fare. E perché questo accada, per quell’uomo e per ciascuno di noi, è necessario collocarsi anzitutto di fronte al volto di Gesù.
Solo l’evangelista Marco sottolinea il particolare di un volto capace di guardare con amore colui che lo sta interrogando: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse…” (Mc 10,21). Per poter capire cosa manca alla nostra vita, per permettere all’impossibile dell’uomo di diventare il possibile di Dio, è necessaria la scoperta dello sguardo di compassione di Gesù su ciascuno di noi, uno sguardo che comunica quell’amore incondizionato e libero di fronte al nostro possibile “no”; quell’amore che comunica la vita e che permette di compiere anche le scelte più umanamente difficili: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi” (10,21).
Lo sguardo di Gesù è la perla preziosa cercata e che trovata permette di vendere tutto; è il tesoro nascosto nel campo, che permette di compiere “la follia” di vendere tutto per compare il campo.
Ciò che dà la possibilità di seguire Gesù non è prima di tutto il nostro sforzo, il nostro “fare per ereditare”, ma è anzitutto l’accorgersi d’essere - ciascuno di noi – l’oggetto dell’amore di Gesù, e in forza di quello sguardo d’amore si possono fare delle scelte altrimenti e umanamente “assurde”.
Un giornalista, vedendo Madre Teresa di Calcutta curare un malato devastato e ripugnante, esclamò: “Io non farei questo nemmeno se mi dessero migliaia di dollari”. E Madre Teresa rispose: “Nemmeno io. Lo faccio solamente per amore di Cristo”.
D. Sebastiano Carlo Vallati