Le nostre novelle
XXX domenica del tempo ordinario - 28 ottobre
In quel tempo Gesù e i suoi discepoli giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo...

XXX domenica del tempo ordinario - 27 ottobre

Mc 10,46-52

In quel tempo Gesù e i suoi discepoli giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

 

La I lettura racconta del regno di Giuda che dopo l’esilio in Babilonia, ritorna a Gerusalemme.

Questa gente era partita nel pianto e Dio li riporta tra le consolazioni.

E il Signore dice: “Innalzate canti di gioia, ditelo che io vi ho salvati”.

Ognuno di noi può raccontare la stessa cosa: chi per una malattia, chi per un legame/un rapporto in crisi, una situazione di lavoro… è partito piangendo ed è tornato consolato.

Questo è un invito a crescere nella preghiera di gratitudine: ringraziare per tutte quelle volte che siamo stati aiutati, consolati dopo aver pianto molto.

Su questo aspetto, la II lettura (Eb 5,1-6) è davvero bella.

Gesù è presentato come Colui che “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza”.

Dio che in Gesù si riveste della ‘debolezza’ umana, e per questo comprende da vicino le nostre debolezze, i nostri dubbi, la fatica di vivere, di avere fiducia in Dio.

E nel vangelo, Gesù prova compassione per questo cieco che grida aiuto.

Prima di entrare a Gerusalemme, Gesù giunge a Gerico, la “città delle palme”, sede del palazzo invernale di Erode il Grande, la città più bassa del mondo (- 256 metri s.l.m.), situata a pochi chilometri dalla fossa del Mar Morto (- 423 metri s.l.m. nel 2018), “il Mare del Sale”. Gesù percorre il Ghor (“la fossa” che scende dalla Galilea lungo il Giordano).

Gesù scende in profondità, nel caldo asfissiante dell’oasi ricca sì di palme, ma ancor più simbolo della bassezza a cui il male riduce l’umanità (cf. Zaccheo, capo dei pubblicani, in Lc 19,1-10).

Quindi, Gerico rappresenta tutte quelle città, tutti coloro che vivono immersi negli abissi.

Come oggi passare in una favela di Rio de Janeiro, o a Korogocho (in Kenya), dove – come ieri – vive gente scartata dalla società e che ai bordi delle strade chiede aiuto.

Il vangelo di Marco annota che “Gesù si fermò”.

Nel 1945 Carlo Levi scriveva il romanzo Cristo si è fermato a Eboli, povero paese della Lucania.

Gesù si ferma davanti a chi chiede aiuto.

Questo incontro è bello:

° c’è un uomo che grida la sua fede (dovremmo chiederci se la nostra preghiera sa ancora ‘gridare’, se abbiamo il coraggio di una tale fede davanti a Dio, o se la nostra è una preghiera fiacca, stanca);

° ci sono i discepoli che vogliono mettere a tacere il grido di quest’uomo.

Bartimeo rassomiglia ai molti malati rinchiusi in una stanza, o in un istituto, o anche a chi senza essere rinchiusi da nessuna parte è costretto a tacere il proprio grido perché incontra indifferenza.

Siamo come la folla dei discepoli che fa da muro e comincia a dire: “taci, non domandare, rassegnati, sopporta, accetta”.

Vogliamo proteggere l’udito di Dio, zittiamo il grido.

E si vuole mettere a tacere quel grido anche perché si crede che rimarrà senza esaudimento.

Eppure, Gesù è venuto non per i sani, ma per i malati, per tutti quelli che piangono senza trovare consolazione in questo mondo.

“Che cosa vuoi che io faccia per te?”.

Queste sono le parole di un Dio che non è il padrone, ma il servitore della vita (vangelo di domenica scorsa).

Questo cieco inizia a vedere che il Dio di Gesù vuol bene anche a lui.

E questo lo vede ancora prima che sia guarito: lo capisce dal fatto che Gesù si ferma da lui.

Ma questo miracolo, va capito anche per dov’è collocato nel testo.

Nel vangelo di Marco questa è l’ultima guarigione che Gesù compie.

Quasi a dire: aprite gli occhi, vedete, che cosa mi succederà a Gerusalemme. Se no, non capite niente di me e di Dio.

Nella fede è importante vedere. (Quando Pietro e Giovanni vanno alla tomba, e la vedono vuota, il vangelo annota che i due discepoli “videro e credettero”), un vedere nella fede perché nel nostro percorso verso Dio, a volte siamo costretti a camminare a tentoni, in luoghi bui ed incerti.

Ma se hai aperto gli occhi su Gerusalemme (passione, morte, risurrezione di Gesù), anche se non vedi chiaramente – scusate il gioco di parole – sai che di Dio ti puoi fidare “ciecamente” (perché ha capito chi è).

Come Bartimeo chiediamo di vedere: le cose, il mondo, gli altri e Gesù Cristo chi è.

 

D. Sebastiano Carlo Vallati

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