XXXIII domenica del tempo Ordinario - 18 novembre
Dal vangelo secondo Marco (Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Leggere e commentare i passi del Nuovo Testamento dedicati alla fine del mondo suscita disagio, perché la visione del mondo che si aveva al tempo in cui sono state scritte quelle pagine è diversa dalla nostra. Come scrive il biblista Piero Stefani “nei discorsi cosiddetti escatologici ti rendi conto che la fede è impastata con prospettive culturali diverse dalle nostre”.
Che cosa vi è di irrinunciabile in quei discorsi?
Che il mondo così com’è ora non è quello voluto da Dio: “E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti una nazione contro una nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori”.
La verità di questi passi sta nella loro mancanza di eccezionalità.
Da sempre nel mondo ci sono guerre, terremoti e carestie e molti altri, inesauribili mali.
Solo il riferimento a Dio ci induce ad affermare che quelle realtà normali nella storia umana vanno giudicate inaccettabili.
Il risanamento del mondo non può scaturire dal suo interno, l’umanità non è in grado di auto-redimersi: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. La frase esprime l’idea che la definitiva salvezza deve «venire».
Venire dall’alto, non scaturire dal basso: “Venga il tuo regno sia fatta la tua volontà come in cielo [dove già si realizza] così in terra [dove ancora non si realizza in pienezza]”.
Un sonetto del poeta John Donne inizia così: «E se fosse questa l’ultima notte del mondo?».
Il fatto che, secondo le parole del Vangelo, il cielo e la terra passeranno per lasciar posto al mondo avvenire e che solo il Padre conosce l’ora di quando ciò avrà luogo dovrebbe attestare, per ogni credente, la perenne attualità di questo interrogativo.
E se fosse giunto il tempo in cui il male sparirà?
Ma ciò non avverrà senza che si dileguino gli assi portanti di «questo opaco atomo del Male».
«E se fosse questa l’ultima notte del mondo?».
A volte l’interrogativo è stato inculcato nelle nostre menti per incuterci paura; non è l’uso giusto, il perfetto amore scaccia la paura (1Gv 4,18).
Ciò che i cristiani moderni trovano difficile da ricordare è il fatto che anche l’intera vita dell’umanità è precaria, temporanea e provvisoria.
Gli scienziati prospettano lunghe decadenze entropiche motivate dall’interno, mentre il credente mette in conto un’improvvisa interruzione che viene dall’esterno e può sopraggiungere in qualsiasi momento.
Le parole di Gesù ci dicono che l’attesa della fine non è una previsione, è uno stile di vita.
Come abbiamo già detto, lo stile di vita alla quale siamo chiamati da Gesù non è orientato dalla paura.
Se ogni giorno c'è un mondo che muore, ogni giorno c'è anche un mondo che nasce, un germoglio che spunta, foglioline di fico che annunciano l'estate.
Quante volte si è spento il sole, le stelle sono cadute dal nostro cielo, lasciandoci senza sogni: una disgrazia, una delusione, la morte di una persona cara, una sconfitta nell'amore.
Gesù vuole raccontare non la fine ma il fine della storia: Dio è vicino, è qui.
Scrive Ermes Ronchi “Fu necessario ripartire, un'infinita pazienza di ricominciare, guardare oltre l'inverno, all'estate che inizia con una gemma su un ramo, guardare «alla speranza che viene a noi vestita di stracci perché le confezioniamo un abito da festa»” (P. Ricoeur).
“Dalla pianta di fico imparate”: Gesù ci porta alla scuola delle piante, perché le leggi dello spirito e le leggi profonde della creazione coincidono.
Da una gemma di fico imparate il futuro del mondo: «che non compiuto così com'è, ma è qualcosa che deve svilupparsi ancora oltre, e che deve essere inteso più in profondità. Il mondo è una realtà germinante» (R. Guardini), incamminata verso una pienezza profumata di frutti.
Da una gemma imparate il futuro di Dio: “che sta alla porta, e bussa; viene non come un dito puntato, ma come un abbraccio; non portando un'accusa ma un germogliare di vita” (E. Ronchi).
D. Sebastiano Carlo Vallati