Le nostre novelle
II Domenica di Avvento - 9 dicembre
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 

II Domenica di Avvento - 9 dicembre

Vangelo (Lc 3,1-6)

Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.

Chi non si piace, tenta in ogni modo (con diete, attività sportiva, un nuovo look, la chirurgia estetica) di migliorare la propria immagine. Gli antichi – per i quali il nome formava un tutt’uno con la persona – avrebbero definito questi sforzi come una ricerca di darsi un nome nuovo, tentativi di rifarsi il nome.

Dio ama cambiare il nome alle persone, alle città, ai popoli.

Ha chiamato Abramo, Sara, Giacobbe, Simone e ha dato loro un nome nuovo.

Ha trasformato Gerusalemme – la città in rovina, “la schiava”, “la vedova triste e avvizzita” – in una città chiamata “Leggiadra”, “Gioiello”, “Pace della giustizia e gloria della pietà”.

Spesso le persone sono (o vengono) incatenate a un nome, un’etichetta: “Alcolizzato”, “Tossicodipendente”, “Schiavo del gioco”, “Infedele”, “Disonesto”, “Inaffidabile”…

Dio desidera liberarci da questa condizione infelice. Egli viene per rivelarci il nome con il quale ci chiama da tutta l’eternità e un giorno chiamerà ogni uomo con il nome nuovo che il suo amore avrà indicato.

Nella prima lettura (Bar 5,1-9), tratta dal profeta Baruc si legge: “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo… Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui (Bar 5,1-3. 9).

In Israele, la donna che perdeva il marito o un figlio indossava gli abiti del lutto, si copriva il capo con un velo. Affranta dal dolore si sedeva per terra, non preparava il cibo, non si lavava e non si ungeva con profumi. Così manifestava la sua disperazione.

La città di Gerusalemme è paragonata ad una vedova triste alla quale sono stati strappati i figli: siede sconsolata, ricoperta della veste di lutto e rifiuta ogni parola di conforto.

Come una mamma, Gerusalemme ha visto i suoi figli allontanarsi in catene, sospinti da soldati crudeli. Era convinta che non li avrebbe mai più rivisti.

Dopo molti anni Dio fa sorgere fra gli esiliati un profeta incaricato di recare un messaggio di gioia a colei che un tempo era la grande fra le nazioni e che ora “è divenuta come una vedova” (Lam 1,1).

Le dice: Gerusalemme, è finito il tuo lutto! Deponi gli abiti laceri, avvolgiti di un manto splendente, il Signore sta per porre sul tuo capo un diadema di gloria.

E la gloria di Dio è la vita dell’uomo.

La trasformazione del lutto in gioia – dice Baruc – sarà sotto gli occhi di tutti. Dio manifesterà lo splendore della Gerusalemme rinnovata “ad ogni creatura sotto il cielo” e questo sarà il segno che nulla è impossibile per il suo amore.

Come segno della trasformazione avvenuta, Gerusalemme riceve nomi nuovi: è chiamata Pace della giustizia e Gloria della pietà (v.4).

Gerusalemme riceve nomi nuovi, perché avrà un nuovo destino.

Baruc continua: Gerusalemme, non stare più seduta nella polvere della terra, corri veloce fin sulla cima del monte, volgi lo sguardo verso oriente e contempla i tuoi figli che stanno tornando. Li hai visti allontanarsi a piedi, umiliati e percossi dai nemici, ora tornano in trionfo; sono accompagnati dai loro antichi aguzzini che ora tributano loro onori (vv.5-6).

Il Signore ha preso la decisione irrevocabile di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra” (v.7).

Nel deserto il Battista grida: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.

Sembra esserci una contraddizione con quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura. Là Baruc affermava: “Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna, di colmare le valli e spianare la terra, perché Israele proceda sicuro” (Bar 5,7). Il suo era un canto fiducioso alla salvezza che Dio certamente avrebbe portato a compimento.

Il profeta Isaia (citato dal Battista), invece, chiede agli Israeliti di preparare essi stessi la via del Signore.

Baruc sottolinea l’opera irresistibile dell’amore di Dio: nessun ostacolo è per lui insormontabile. Non c’è monte elevato, non c’è valle profonda e oscura che possano impedirgli di realizzare il suo sogno di amore.

Isaia mette in risalto invece l’opera dell’uomo. È urgente che egli apra il proprio cuore, che tolga presto tutti gli ostacoli che si frappongono all’incontro con lui.

E Luca continua la citazione di Isaia: “…Ogni burrone sia riempito, ogni colle sia abbassato. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (vv.5-6).

Superbia, arroganza, disuguaglianze sociali ed economiche, astuzie e cattiverie… di chi vuole imporsi, dominare sugli altri. Il regno di Dio è incompatibile con questi atteggiamenti, rappresentati simbolicamente dai burroni, colli…

La conversione che il Battista richiede è radicale. Come sperare che l’uomo la possa attuare?

Cito, in conclusione, un’interessante osservazione del biblista Fernando Armellini che scrive: “Nella traduzione italiana i verbi compaiono in forma iussiva (“sia riempito”, “sia abbassato”, “siano diritti”), come se si trattasse di un’ingiunzione. Se è questo il senso delle parole del profeta è l’uomo che, mediante i propri sforzi e il proprio impegno, deve realizzare l’immane impresa. Così abbiamo solide ragioni per ritenere che non verrà mai portata a compimento. In realtà, nel testo originale greco, i verbi sono al futuro passivo: “Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e colle sarà abbassato, e saranno le cose storte diritte…”.

Così il discorso cambia. Non si tratta di ordini impartiti da Dio, ma di una promessa che egli fa: il mondo basato su principi nuovi sorgerà, anche se agli uomini può sembrare un miraggio, e sarà opera mia. L’ultima parte della citazione è particolarmente importante: Ogni carne vedrà la salvezza di Dio! (v.6). Non “ogni uomo”, ma “ogni carne” – dice il testo originale. Carne, in senso biblico, non sono i muscoli, ma tutto l’uomo considerato nel suo aspetto di essere debole, fragile, esposto a tanti fallimenti. L’uomo è carne perché si ammala, commette errori, soffre solitudine e abbandono, invecchia e muore. Ecco ora la promessa: in ogni debolezza dell’uomo si manifesterà la salvezza di Dio; non vi sarà abisso di colpa tanto oscuro e profondo che non venga visitato e illuminato dal suo amore.

Luca colloca questa affermazione all’inizio del suo Vangelo, la sceglie quasi come titolo della sua opera perché contiene una solenne dichiarazione: Dio non riserva la sua salvezza ad alcune persone privilegiate, ma vuole che sia offerta a tutti. Nessuno sarà escluso”.

D. Sebastiano Carlo Vallati

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